L'estate "dentro"

LA BANALITÀ DEL MALE E… LA PAROLA DI GESÙ

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La banalità del male. Con questa espressione Hannah Arendt, filosofa ebrea della metà del ‘900 titolava il suo libro che descriveva il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann avvenuto a Gerusalemme nel 1961. Tale espressione esprimeva la superficialità con la quale alcuni atti di enorme gravità erano stati compiuti da quest’uomo. Scrive la stessa: «restai colpita dalla evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause o di motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore – per lo meno l’attore tremendamente efficace che si trovava ora sul banco degli imputati – risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco o mostruoso».

La memoria di uno tra gli eventi più disumani della storia dell’umanità richiama alla superficialità con la quale possiamo nuocere agli altri. Una superficialità che non si rende conto delle conseguenze delle proprie parole e azioni sugli altri. Magari fino a quando esse non producono il loro effetto. Forse è per questo che il vangelo – che a qualcuno potrebbe apparire eccessivamente duro – afferma: «io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio» (Mt 12,36).

Questo versetto, presente solo nella versione matteana è particolarmente illuminante su questo argomento. L’aggettivo utilizzato dall’evangelista può essere tradotto con diverse sfumature. Esso è costruito (in greco) dalla radice del verbo lavorare, preceduto da un’alfa privativa. Etimologicamente significa cioè senza-lavoro. Da qui la possibilità di tradurre col significato di pigro, ozioso oppure anche infondato. Nell’uno e nell’altro caso il cuore del significato è chiaro. Si tratta di parole leggere. Parole pronunciate cioè senza alcuna competenza, coscienza o certezza delle situazione. Nel nostro gergo comune vengono spesso definite come giudizi temerari, mentre papa Francesco le ha spesso denunziate veementemente col nome di «chiacchiericcio».

Ci potremmo a questo punto scandalizzare del fatto che il male si insinui nella nostra vita attraverso la «mediocrità» delle persone. Questo perché ci aspetteremmo che il male abbia una forma sempre consapevole e mostruosa. La realtà ci racconta altro. Pur raggiungendo anche sommi radicamenti, il male avanza infiltrandosi spesso nelle debolezze dell’uomo. E più una persona sperimenta fragilità e debolezze, più – senza un necessario sostegno – diventa pericolosamente strumento di male.

A tale mediocrità si oppone il principio di misericordia. Tutt’altro che “banale” norma morale. Esso richiede di non giudicare. Non come atto di disimpegno. Il rendere conto di ogni «parola infondata» chiede una presa di coscienza del fatto che «in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Mt 12,37). Ognuno cioè renderà conto del male che ha commesso. La frase di Gesù mira a responsabilizzare le parole personali per rendere coscienti gli incoscienti. Per togliere loro la scusa che non sapevano. Il punto di riferimento di ogni azione morale diventa così, come sempre,  il vangelo. Se quindi ci saranno incoscienti che vorranno rimanere tali essi avranno doppiamente sbagliato. Nella decisione, cioè, di rinunciare alla verità di se stessi e in quella (più grave ancora) di ignorare deliberatamente la Verità del vangelo. Chi ha orecchi per intendere intenda…

Emmanuel Albano

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