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Paolo Pace: “La mia musica mi rende libero”

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Paolo Pace

Parla il musicista e cantautore monopolitano Paolo Pace, autore della colonna sonora di “Hell in the cave” e dell’album “Luna Park”

Dieci brani, inclusi una cover di “Futura” di Lucio Dalla e il pezzo inaugurale dal titolo “Luna Park” che dà il nome all’album, pubblicato lo scorso giugno. Tanti soni i tasselli di un mosaico che andrà a comporsi nel maggio 2024 con l’uscita degli ultimi singoli del primo disco da cantautore di Paolo Pace. Originario di Monopoli, il musicista pugliese, autore tra gli altri della colonna sonora dello spettacolo “Hell in the Cave”, ha con questa nuova esperienza discografica messo in mostra le sue indubbie doti polistrumentali e di scrittura, oltre alla versatilità e all’ecletticità che ne caratterizzano il DNA artistico. Ed è proprio in occasione di questa nuova avventura, un importante passaggio e upgrade per la sua carriera, che abbiamo deciso di incontrarlo per parlare del suo passato, del suo presente e del suo futuro.

Qual è il suo primo ricordo musicale?

Risale alle scuole elementari quando mi trovai, dopo una selezione con altri coetanei, ad essere scelto come solista per intonare una canzoncina durante una delle tradizionali recite natalizie. È questo uno dei primi ricordi che ho da bambino della musica. Poi crescendo con le scuole medie intrapresi lo studio del flauto traverso, con il quale mi divertivo ad accompagnare mia nonna mentre cantava.

Paolo Pace

Perché ha optato per uno strumento come il flauto traverso, una scelta tutt’altro che scontata?

In realtà inizialmente mi è stato imposto, perché all’epoca della scuola venivano fatte delle audizioni durante le quali chi vi prendeva parte doveva scegliere tra il clarinetto e il flauto traverso. Ricordo che mi mostrarono entrambi gli strumenti e io fui attratto dal secondo per il suo luccichio e colore argentato. Non lo conoscevo e non lo avevo mai ascoltato prima di allora, ma poi me ne sono innamorato.

C’è un momento preciso in cui ha capito che la musica sarebbe diventata parte integrante della sua vita?

Partiamo del presupposto che la scelta di intraprendere lo strumento e iniziare a fare musica è diventata per me una priorità all’età di 11 anni. Quindi quando presi lo strumento in mano e iniziai a suonarlo capii immediatamente che la musica sarebbe stata una compagna di vita e così è stato. Ho lottato per poterlo fare perché in famiglia non erano tutti propriamente convinti della mia decisione e ritenevano che potesse essere solo una passione temporanea, ma i fatti per fortuna hanno dimostrato il contrario. Nell’ambito culturale, soprattutto al Sud, la musica non è mai stata vista come un vero e proprio lavoro, piuttosto come un hobby. Ai miei tempi e dove abitavo, per chi voleva vivere di musica c’erano solo due strade possibili: entrare nella banda musicale della Finanza e dei Carabinieri oppure diventare un insegnante. Quindi non c’erano molte alternative e nessuna di queste mi interessava. In me al contrario c’è sempre stata una forte ambizione dal punto di vista artistico di voler provare a fare tante cose in questo ambito, a cominciare dall’esibirmi sui palcoscenici, avere un contatto con il pubblico e trasmettere qualcosa.

Paolo Pace

Che cos’è per lei la musica e se è cambiato negli anni il valore che gli attribuisce?

Io credo che la musica sia come un virus che una volta entrato nel corpo non ti
lascia più. Da adolescente in alcuni momenti sono arrivato persino a odiarla e a distaccarmi dal suo mondo, ma è stato impossibile e infatti ci sono tornato immediatamente. In generale l’effetto che ha su di me è quasi terapeutico e penso che sia così per gran parte degli artisti. Il suo valore nel tempo è rimasto invariato e continua a essere per me linfa vitale. Rispetto a quando ero più piccolo, oggi come autore è diventata anche una necessità, quella di scrivere testi e musiche dove poter mettere le proprie esperienze e poi lasciarle andare. Con la scrittura di canzoni o il potersi esibire trasferendo quelle che sono le proprie emozioni non faccio altro che restituire un po’ della vita che mi è stata data dalla musica stessa. La musica mi rende libero in primis come artista e anche come uomo in un’epoca in cui la libertà è di per sé un concetto molto complesso e non reale, poiché siamo tutti un po’ schiavi delle situazioni.

Quali sono le sue influenze?

Le forti influenze che si possono trovare nel mio background vengono dall’ascolto di grandi cantautori italiani come Dalla, De Gregori o De André, ma anche del panorama internazionale quali Stevie Wonder o Frank Sinatra. La loro musica me la sono portata dietro e ha finito con il fondersi con la mia identità artistica e personale.

Tra i suoi lavori più importanti c’è la realizzazione della colonna sonora dello spettacolo “Hell in the Cave”. Come è nata e si sviluppata a livello creativo questa esperienza?

A “Hell in the Cave” ho inizialmente preso parte nelle vesti di vocal coach, poi mi è stato affidato il compito di comporre le musiche. Scrivere dei brani per uno spettacolo del genere non è stato semplice perché si trattava di qualcosa di mai visto: uno show itinerante con le musiche che dovevano accompagnare i versi di Dante e al contempo essere esse stesse protagoniste. Ma con il lavoro di squadra con Giuseppe De Trizio ne siamo venuti a capo e abbiamo iniziato a inserire una serie di brani per i vari quadri, alcuni dei quali orchestrali, altri invece con stonature forti rese possibili da chitarre distorte e da percussioni prepotenti proprio per fare in modo che le vibrazioni all’interno delle Grotte di Castellana potessero essere ancora più d’effetto. E in alcuni di questi quadri ho avuto anche la possibilità di sperimentare cose che non avevo mai fatto prima, come ad esempio nel momento della caduta di Lucifero dall’alto della Grave all’Inferno, che ho ricreato utilizzando il rumore delle frenate dei treni sui binari registrati alla stazione ferroviaria mescolate con le urla umane di disperazione. È stato bellissimo ed emozionante ascoltare la musica in una location suggestiva come quella. Una vera e propria esperienza sensoriale in 4D.

Paolo Pace

Recentemente è arrivata la prima esperienza cantautoriale con l’album “Luna Park”, i cui singoli usciranno scaglionati nei prossimi mesi. Cosa l’ha guidata nella scelta del titolo?

Avevo bisogno di un’immagine psicologica e interiore, attraverso la quale esprimere un sali e scendi di emozioni cangianti come se si fosse sulle montagne russe, con dei momenti piani e lineari alternati a vuoti improvvisi e a salite vertiginose. Pensando alla vita e al ciclo delle emozioni mi è venuto immediatamente in mente l’immagine di un luna park.

Cosa caratterizza i brani dell’album?

Faccio l’esempio di “Luna Park” che è il brano che dà il titolo al mio album, nel quale c’è un contrasto molto forte tra una musica allegra, leggera e divertente e un testo che invece è totalmente distruttivo, in quanto parla della noia, della rassegnazione dei ragazzi e dei loro sogni nella società di oggi.

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Testo di Francesco Del Grosso – Foto di Giuseppe Savino

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