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IRENE ANTONUCCI, “è bello scoprirsi attraverso i personaggi”

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Irene Antonucci cover

Intervista all’attrice e regista tranese, recentemente nelle sale con l’action-thriller “Runner” e protagonista di un’importante carriera internazionale in Sud America.

Da Trani alla Puglia, dall’Italia al mondo sino al Sud America, laddove con una seconda vita artistica è iniziato qualche stagione fa un entusiasmante percorso che l’ha definitivamente lanciata a livello internazionale. Irene Antonucci, attrice e regista che ha fatto della bravura, della determinazione e della versatilità i suoi punti di forza, il meritato successo e la consacrazione se l’è andati a prendere oltreoceano con un biglietto di sola andata per la Colombia, dove dal 2022 vive e lavora. Ed è lì, dove è protagonista di importanti produzioni per il grande e piccolo schermo che spaziano nel ricco ventaglio dei generi tra cui “Entre 2 aguas”, “Shit Happens”, “Inventario”, “Domingo l’ultimo schiavo” ed “Emma Reye”, che l’abbiamo raggiunta telefonicamente per parlare dei suoi molteplici impegni cinematografici e televisivi, che recentemente l’hanno riportata anche nel Belpaese per prendere parte all’action-thriller “Runner” di Nicola Barnaba.

La sua esistenza è stata costellata da continui sliding doors, ma quando ha deciso di seguire la strada della recitazione e dell’arte in generale?

Mi è capitato a più riprese di avere l’opportunità di poter fare altre mille cose nella vita ed effettivamente ho scelto volutamente di farne molte e svariate proprio per avere la possibilità di dire tanti no prima di arrivare al si. E quindi il sodalizio con il mestiere dell’attrice è arrivato quando ho sentito la consapevolezza che quella sarebbe stata la mia strada e che non me ne sarei mai pentita. In realtà ho cominciato a 14 anni con le pubblicità e il teatro, poi il percorso si è interrotto temporaneamente per motivi di salute, oltre che per una sorta di catarsi interiore dovuta a incertezze varie e agli studi universitari per i quali mi sono trasferita molto presto a Roma. Per alcuni anni ho portato avanti parallelamente il percorso nel digital marketing, che è stato un po’ il mio piano B, e quello della recitazione prendendo parte a dei casting tutte le volte che ne avevo la possibilità, fino a quando intorno ai 26 anni ho deciso di fare del mestiere dell’attrice e dell’artista in generale una priorità, dedicandogli il 100% delle energie, dell’impegno e del mio tempo. Oggi più che mai penso che il fuoco dell’arte lo si ha da sempre, in potenza come dice Platone, ma fino a quando non lo trasformi in azione non puoi renderti conto se quella è la scelta giusta per il tuo futuro. Nel mio caso era lì presente e ho dovuto solamente accettarlo.

Irene Antonucci 1 foto di Adrian Tambien

Foto di Adrian Tambien

A proposito di scelte, a un certo punto della sua vita e della sua carriera si è trasferita in Colombia. Quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a maturare una decisione così importante?

La fascinazione nei confronti della Colombia è arrivata nel momento in cui ho capito che lì avrei potuto sperimentare di tutto per quanto concerne i generi, tant’è vero che non ce n’è uno definito che commercialmente funziona più di un altro. Non devi necessariamente rientrare in un canone. Motivo per cui hai la possibilità di scrivere un progetto, di presentare qualcosa di diverso e di essere ascoltato. Quindi tu straniero hai l’opportunità, come è successo a me che provenivo da un’altra cultura e avevo caratteristiche differenti, di portare un plus e ricevere le giuste attenzioni. Naturalmente di base ci devono essere il talento e le capacità, a cominciare dalla tenacia, perché senza di quella non vai da nessuna parte, nemmeno dall’altra parte del mondo. In Italia mi sentivo stretta, avvertivo nel mio campo molto maschilismo e patriarcato, ma più di ogni altra cosa è stata la poca meritocrazia e il fatto di essere considerata solo e soltanto per una certa tipologia di ruolo sulla base di canoni estetici o di altre caratteristiche, che mi ha spinto a volere cambiare aria. Avevo dunque bisogno di dare una scossa, perché senza di essa rischiavo di annichilirmi. E quando a seguito di alcuni eventi casuali e non, tra cui un incontro con dei professionisti colombiani di passaggio in Italia e un premio vinto al Bogotà Web Fest con una serie digital scritta e diretta a quattro mani con Gianluca Foresi dal titolo “Differenze generazionali”, si è prospetta la possibilità e il desiderio di andare in Colombia ho colto la palla al balzo e alla fine di gennaio 2022 sono partita per un primo viaggio. Lì dopo dei colloqui andati molto bene con agenzie e addetti ai lavori, che si sono da subito mostrati interessati a collaborare, mi sono sentita a mio agio, valorizzata e ho capito che avrei potuto essere una risorsa e fare la differenza.

A quel punto, sbrigate le spinose questioni burocratiche legate a documenti e via dicendo, ho deciso di trasferirmi e a marzo dello stesso anno ero già su un set a girare un film horror.

Cos’è per lei la recitazione?

È uno spaccato della realtà, dove continuamente, come direbbe Pirandello, siamo uno, nessuno e centomila. Siamo tante cose. Siamo tanti ruoli diversi a seconda dei contesti che viviamo e che interpretiamo nel nostro quotidiano, con l’unica differenza che è più reale, perché è accettato, è possibile e non giudicato.

È qualcosa che ci rende liberi.

Cosa si augura di trovare in un progetto e cosa la spinge ad accettare un ruolo?

Spero sempre che ci sia una rottura, ossia che quel personaggio sia capace di sconvolgermi, di lasciarmi qualcosa e di mettere in dubbio delle certezze. Per questo parlo di rottura. Il fatto che si tratti di una nuova esperienza, che riesca in qualche modo a mettermi in difficoltà, lo ritengo particolarmente interessante e stimolante. Il doverci lavorare ancora di più, dedicargli tanto tempo, rappresentano parte di quella sfida che mi convince ad accettare un progetto e affrontarlo con tutta me stessa e con le giuste motivazioni.

Irene Antonucci foto 3

Quali sono le fasi che accompagnano il suo avvicinamento al personaggio e se c’è qualche aspetto che predilige nel percorso di costruzione?

Ovviamente si lavora sempre sugli stessi metodi, che poi sono quelli che ti insegnano nelle accademie, ma è risaputo che i tempi del cinema e ancora di più quelli delle serie sono davvero molto rapidi. Quindi in termini pratici risulta difficile, per non dire impossibile, poter fare per ogni scena un certo tipo di approfondimento che va dal radicamento sessuale alla connessione con il partner di turno e così via. Resta il fatto che si inizia a indagare sin dalla base, facendo un’analisi sui vari perché, sui vizi o sugli eventuali traumi. Ed è su quest’ultimi che si concentra moltissimo il mio percorso di costruzione. Sono sempre stata appassionata di comunicazione, motivo per cui mi piace tantissimo sia quella verbale che quella non verbale.

È un punto, questo, sul quale mi focalizzo particolarmente, perché mi consente, ad esempio quando mi confronto con la comicità, di capire quali elementi utilizzare per quanto concerne la mimica, la postura, la trasmissione e l’interpretazione del messaggio che il personaggio vuole canalizzare.

In quale dei personaggi da lei interpretati ha trovato più punti di contatto?

In linea generale mi sento molto soddisfatta del mio operato e in tutti i personaggi che ho interpretato sino ad oggi ho lasciato qualcosa di me e viceversa. Se devo pensare a un personaggio in cui mi sono ritrovata e con i quali ho avuto delle corrispondenze la mente va a Catalina, la protagonista del film “Inventario” di Mauricio Catano Panesso, in uscita nelle sale colombiane a maggio

e in work in progress per quanto concerne i contratti di distribuzione all’estero e sulle piattaforme. Lei è una cineasta alle prese con il progetto più importante della sua carriera, che gira per festival in cerca di potenziali finanziatori per portarlo a termine e fare il salto di qualità.

Irene Antonucci foto di Gabriel Carvaja

Foto di Gabriel Carvaja

È un’entusiasta e appassionata del suo lavoro. Ha sempre con sé una videocamera e guarda il mondo con gli occhi di una regista, come se la sua vita fosse un set. Si ritrova in un ambiente frequentato da persone totalmente distanti da lei, che non la prendono seriamente, lo stesso che vedrà le maschere cadere, lasciando spazio ai segreti e alla natura dura e cruda che c’è dentro ciascuno di noi. In qualche modo ho vissuto e patito dinamiche simili, soprattuto agli esordi. Dinamiche che mi sono ritornate in mente e che, enfatizzandole, ho messo al servizio di Catalina, che diversamente da me è più arrivista e menefreghista. È stato molto divertente e interessante vestirne i panni, riflettermi in lei come in un gioco di specchi.

Cosa le ha insegnato l’arte della recitazione e il mestiere dell’attrice?

Sono sempre stata molto emotiva e sensibile. Questa spiccata sensibilità è al contempo sia una capacità che un’arma a doppio taglio, perché nella vita di tutti i giorni ti consente di sentire tutto di te e di quello che stanno provando le persone che hai intorno. Se nella sfera personale ciò può rappresentare un problema, poiché devi essere anche in grado di dominare le emozioni, in quella lavorativa invece ne ho fatto una fonte di arricchimento e un vantaggio per i personaggi, iniziando ad applicare questa mia caratteristica su di loro così da arrivare a sentire qualsiasi cosa.

Faccio l’esempio di una serie dal titolo “Domingo l’ultimo schiavo”, nella quale interpreto Silvana, una donna che nel 1840 ha contribuito alla fine delle schiavitù in Colombia. Io probabilmente non avrei avuto la forza di fare quello che lei hai fatto, ossia seguire una causa così importante e renderla tanto più forte rispetto ai suoi sentimenti. Lei affronta un lunghissimo viaggio per ritrovare l’amore della sua vita e promesso sposo, per poi scoprire che lui è innamorato di un’altra. Ciononostante con questo amaro in bocca continua lo stesso a combattere al loro fianco, aiutandoli in tutto e per tutto a perseguire la causa pur dovendo tenere dentro questo dolore. Ecco Irene probabilmente non ce l’avrebbe mai fatta. Lei mi ha insegnato e trasmesso tanta forza e una grande maturità emozionale. In tal senso, è bello scoprirsi attraverso i personaggi.

Testo di Francesco Del Grosso

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