A dieci anni dall’arrivo della xylella, finalmente nei campi si è ricominciato a reimpiantare gli ulivi. Grazie ad iniziative come Olivami
Negli ultimi anni parlare di ulivi in Salento è diventato un tabù, “un divieto sacrale di pronunciare determinate parole imposto per motivi di rispetto, per ragioni rituali, di decenza e altri motivi” (definizione di “tabù”, Enciclopedia Treccani).
Chi comprende a fondo le dinamiche dell’agricoltura, sa quali termini può usare per descrivere un fenomeno che, in poco tempo, ha modificato irreversibilmente il paesaggio e l’economia del Salento. Chi ha subìto in prima persona il cambiamento, come i tanti lavoratori del settore oleario, lo descrive come una maledizione, un evento funesto che ha cambiato i connotati di un territorio e della sua comunità.
Il turista habitué che ha imparato a conoscere le meraviglie del Salento, avverte ogni anno il peso di questa enorme trasformazione e l’impotenza degli agricoltori locali davanti allo sconvolgente avvenimento.
Per diverso tempo in Salento c’è stata una sorta di attesa condivisa. Non esisteva un lieto fine ma questa storia, prima o poi, doveva finire. Xylella fastidiosa è il nome di questo fenomeno, un’epidemia scatenata da un patogeno batterico delle piante che viene trasmesso da insetti vettori. Dall’estate del 2013 questo nome riecheggia nell’aria, come un tormento. Quando gli studiosi l’hanno riconosciuto, forse, era già troppo tardi. Nel giro di pochi anni, le strade del Salento si svuotano di vita. Le foglie argento degli ulivi che brillano al sole non ci sono più e ciò che resta sono tronchi scuri, arsi e mozzi.
La Xylella ostruisce rapidamente i vasi linfatici e la pianta muore, come soffocata. Sempre gli studiosi, però, dopo anni di indagini sul comportamento del batterio e di sperimentazione sulle piante, hanno dichiarato idonee a convivere con il batterio le varietà di ulivi Leccino e Favolosa.
Cosa fare a questo punto? Continuare ad osservare in silenzio un Salento demolito non restituirà bellezza e lavoro a questo territorio. La storia degli ulivi sacri e secolari è finita ma c’è sempre tempo per riscriverne una nuova.
Siamo nel 2021. Alessandro Corricciati, quarta generazione di una famiglia di olivocoltori di Martano, chiacchiera con dei turisti sulla questione fastidiosa. L’argomento, (abbondantemente affrontato e sofferto da Alessandro negli anni precedenti) in quel momento esatto, ha un suono diverso. Le parole dei turisti lo ispirano perché amano la sua terra, come fosse casa. Tante persone erano disposte a dare una mano per salvare il Salento. Anche chi in Salento non ci era nato.
È il 31 gennaio 2022 quando, con Alessandro Corricciati come Presidente, nasce Olivami, un’associazione che promuove l’adozione a distanza dei nuovi ulivi salentini. Privati, famiglie e aziende possono adottare il proprio albero e ridare lavoro ai piccoli agricoltori della zona a cui questi alberi vengono affidati. L’adozione avviene online mediante il sito web ed esistono diversi piani con cui poter partecipare attivamente al progetto.
Come funziona esattamente?
«Chi sceglie di adottare un ulivo adotta un albero che è già stato piantato, consente l’acquisto e la piantumazione di un nuovo alberello e, ogni anno, riceve a casa il suo litro di olio extravergine di oliva biologico certificato. Oltre all’olio, l’adottante riceve il certificato con la quantità di Co2 sottratta all’ambiente grazie al suo supporto», racconta Simone Chiriatti, direttore di Olivami.
Qual è il vostro obiettivo?
«L’obiettivo della nostra associazione è la riforestazione del Salento, non solo per ripristinare la bellezza paesaggistica. Il nostro intervento mira a ridurre l’inquinamento nell’aria, ricostruire l’economia del territorio, i suoi posti di lavoro, la storia e la cultura. In un posto come questo dove esistono già le infrastrutture (come i frantoi, per esempio) e le competenze dei nostri anziani contadini, custodi di saperi e tradizioni agricole, tutto è ancora possibile. Un aspetto importante del nostro progetto è l’interesse che stanno dimostrando i giovani al nostro lavoro. La nostra è un’agricoltura di precisione, infatti ci serviamo di droni per controllare ed intervenire in maniera mirata sulle piante. Quest’unione di tecnologia e agricoltura li sta finalmente avvicinando a questo mondo».
Chiunque adotti un albero potrà vederlo tutte le volte che desidera perché, dotato di targa in legno con nome, numero identificativo e QR code, sarà facile da rintracciare insieme all’agricoltore di quel terreno. In poco più di un anno, i 18 volontari di Olivami sono riusciti a piantare 25.000 ulivi e di questi, 11.000 sono stati già adottati; hanno realizzato 51 giardini aziendali mentre 6.000 sono le persone che hanno adottato un ulivo; 75 i terreni ripristinati grazie anche agli agricoltori che sono ritornati (finalmente) nei campi; 50, invece, sono gli ettari di terra che sono stati ripiantumati con le donazioni.
Un lavoro miracoloso messo a punto da giovani ragazzi, cresciuti sotto le cime frondose di questi grandi alberi e sorvegliati dai quegli indimenticabili tronchi, monumentali sculture di legno scolpite dal vento.
Il Salento doveva tornare a respirare con i suoi polmoni e loro, un albero alla volta, ce la faranno.
di Noemi Rizzo
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