Personaggi

Felicità di carta

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Fa il maestro cartaio e l’incisore. Sfrutta la fibra degli alberi di fico. Perfino in Giappone hanno riconosciuto il suo valore. Ma lui dice: «Volevo solo continuare a giocare. E questo è il mio gioco»

A Sogliano Cavour vivono 4000 anime. Una farmacia, un bar, un tabacchino e poco altro. L’unica cosa che vedi in abbondanza sono i gatti. Poi pochi segni di vita. Non credo che da queste parti abbiano mai usato le parole ingorgo, traffico, forse nemmeno incidente, tanto poche sono le auto circolanti. Insomma è un posto dove non sarei mai andato, se qualcuno non mi avesse parlato di un maestro cartaio e incisore che crea cose meravigliose. Un lavoro che richiede il suo habitat naturale, i suoi tempi, il silenzio. E allora pensi che Sogliano esista solo per questo. per fare da cornice alla figura di Andrea De Simeis, che ha compiuto quarant’anni in quarantena: «È un comune molto piccolo, con limiti ben visibili, ma si vive a misura d’uomo con dei ritmi che mi si confanno». De Simeis si è diplomato al classico, poi si è iscritto alle Belle Arti a Lecce, infine l’Istituto per l’arte e il restauro a Palazzo Ridolfi Spinelli, Firenze, dove si è specializzato in stampa d’arte antica. Che sia un alieno lo capisci dalle sue prime parole: «Posso offritrti un thè? Ho un ottimo thè giordano». Desideravo un caffè in ghiaccio con latte di mandorla, mi ritrovo a sorseggiare un’incredibile bevanda che profuma di cannella, salvia e camelia.

I suoi genitori, entrambi infermieri, si saranno chiesti un sacco di volte dove quel figlio sarebbe andato a parare. «Da piccolo volevo fare il viaggiatore ma mio padre Franco disse che non era una professione e che dovevo dare uno scopo a quei viaggi». Chissà se lo scopo lo hanno mai capito. Perché lui all’epoca non pensava al lavoro, seguiva solo la sua passione, il disegno. «Quasi involontariamente mi stavo educando all’incisione, a lavorare il metallo come facevano gli orafi e gli armaioli. Ed era difficile capire quale fosse il mercato, io volevo solo stampare». Ma non su carte industriali, troppo facile, troppo scontato. No, lui voleva la sua carta. Cioè, realizzata da lui.

«La lavorazione l’ho appresa da un manuale francese del 1800, con passaggi poco chiari, e pian piano ho imparato a fare Washi con le piante del Mediterraneo». Si accorge che lo guardo come se avesse parlato arabo, sorride e si ricorda che sta parlando con un comune mortale, per quanto appassionato di carta da giornale: «Wa-shi significa, letteralmente, carta giapponese». Wikipedia mi spiega il resto: carta fatta a mano, resistente e anche traslucida; la sua buona consistenza permette di utilizzarla in molte applicazioni, come nelle arti tradizionali giapponesi, a cominciare dall’origami. Dal 2014 è patrimonio dell’Unesco.

Il washi viene tradizionalmente prodotto utilizzando le fibre vegetali del gel- so da carta o di altre piante locali. Ma Andrea si adatta e la produce sfruttando gli alberi di fico: «Utilizzo lo strato sub- corticale, il floema, cioè la parte che sta proprio sotto la corteccia».
La produzione avviene nel giardino della sua casa-laboratorio che divide con la moglie insegnante e sei o sette gatti, forse più: «La mia vita privata e quella professionale si compenetrano. Ho provato a vivere altrove, ma quando alle 4 del mattino ti vengono certi pruriti li devi soddisfare, quindi la casa-azienda è la soluzione ideale». Pensavo si riferisse al sesso, poi capisco che alluda al lavoro. Nel processo produttivo usa anche lavanda, timo e rosmarino. E poi i rami della brussonezia papirifera (Kozo in giapponese) che ha in giardino. Dal raccolto della materia prima all’ottenimento di circa 200 fogli passa una stagione. Procedimento manuale. Il computer che ha sulla scrivania serve solo per produrre i bozzetti grafici e ascoltare musica. Accanto al tavolo c’è un pezzo da museo, una vecchia pedalina “Ambrosia”, la macchina usata da Totò e Peppino nel film “la banda degli onesti”. Era il sogno di tipografi e falsari. Oggi ce l’hanno lui e altre 299 persone al mondo.

Una volta imparata l’arte della produzione della carta, Andrea inizia a stampare utilizzando le sue matrici in zinco e rame. Prima una monografia dedicata alla battaglia di Hattin (luglio 1187: la sconfitta riportata dai crociati decreta l’inizio della fine del Regno crociato e la riconquista islamica di buona parte della Palestina), poi la storia di Otranto. Qualcuno si accorge di lui.
«Paradossalmente mi hanno conosciuto prima altrove che in zona. Ho avuto diversi riconoscimenti internazionali». Gira due documentari, uno a Dubai e uno in Giappone per Tokyo Tv, per parlare della comparazione tra le tecniche di stampa orientali e quelle occidentali di stampa. Sogliano Cavour-Tokyo, il destino a volte disegna percorsi inimmaginabili ma che si pos- sono sognare e poi realizzare.

«In quel periodo sono accadute cose incredibili che non mi sarei mai aspettato, ho avuto la fortuna di lavorare con i tesori nazionali viventi, persone che ritenevo inarrivabili. Abbiamo lavorato insieme per 12 ore al giorno e ad un certo punto non ho avuto più bisogno dell’interprete, la comunicazione avveniva con le mani. E quando si abbattono le barriere comunicative vuol dire che è accaduto un miracolo. Facevo fatica a crederci e la notte non riuscivo a dormire». In una foto lo si vede con le mani giunte come fosse in preghiera: è un segno di ringraziamento, manco a dirlo giapponese.

Fino a qualche tempo fa aveva accanto nonno Gino: «È stata la prima persona ad accompagnarmi in questa avventura. Forse perché la loro generazione era più vicina alla terra, al lavoro manuale. Ai nonni determinati processi non sono estranei, ecco perché nonno Gino è quello che più mi ha compreso. Per altri ovviamente era tutto incomprensibile». In un video li si vede insieme, uno di fronte all’altro, mentre battono la fibra con i martelli di legno di fico: sono immagini commoventi perfino per chi il signor Gino non lo ha conosciuto, ma ha avuto dei nonni che lo hanno accudito, cresciuto, capito, a volte viziato.

Oggi Andrea De Simeis confeziona carte come un sarto confeziona un abito. L’azienda o un privato gli commissiona i prodotti, che possono essere etichette di vini, pubblicazioni (ne ha appena realizzata una su carta di luppolo, per un birrificio austriaco), stampe che diventano quadri.
Alla Biennale internazionale per l’incisione che si tiene ad Aqui Terme, in Piemonte, lo hanno voluto come coor- dinatore artistico. «Lì c’è una fornace con la scritta qui il lavoro non è fatica. Io ho sempre desiderato continuare a giocare. E questo in definitiva è il mio gioco».

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