Antonella Aresta ha fotografato Bono, Concato e Cammariere. Si ispira a Cartier-Bresson, Gastel e Joseph Cardo, ma segue il suo stile. E riesce a dare una interpretazione unica delle donne in dolce attesa
Antonella Aresta la fotografia l’ha incontrata al liceo, quando un fotografo milanese tenne dei corsi e la scelse come assistente: «Spesso mi assentavo da scuola e andavo alla Feltrinelli, dove nel reparto musica c’erano le cuffie per ascoltare i dischi. Passavo le ore a guardare le copertine dei grandi, a studiarle».
La fotografia è divenuta il suo lavoro. Si è specializzata in ritrattistica ed ha vinto diversi premi importanti. Ma ancora oggi dalle sue parole e dai suoi scatti emerge quella passione primordiale dei primi tempi.
Con che stile fotografi?
Nelle foto cerco di fermare il tempo, raccontare la realtà, lanciare un messaggio. Cerco l’anima delle persone, cerco quel dettaglio che forse non tutti vedono… io lo contemplo, vedo quello che mi suggerisce la mia sensibilità.
Qual è stato il tuo primo lavoro importante?
Tra i tanti le copertine dei dischi dei “grandi”, come quella dell’ultimo album di Sergio Cammariere. Lavorare con persone così importanti e di successo ti fa capire tante cose, a parte il bagno di umiltà, e poi mi piace lo scambio di energie che c’è fra due professionisti. Quest’ultimo lavoro per il disco “Una sola giornata” non lo dimenticherò mai. Un altro impegno importante è stato quello con Fabio Concato, indimenticabile: andai a fotografarlo con il mio attuale marito, dopo le foto ci invitò al suo concerto e ci siamo innamorati.
Ti occupi solo di musicisti?
No, curo l’immagine di diverse aziende di abbigliamento, anche negozi, ed è fantastico dare vita ad un capo, ma con la mia visione delle cose. Cerco di essere sempre molto elegante e raffinata, ma con molta, molta creatività.
Perché prediligi la ritrattistica?
Perché la ritengo la branca più affascinante della fotografia, è un do ut des, è un momento legato all’emotività più che alla bellezza della fotografia, è un lungo processo che si impara con l’esperienza: io sono e divento il mezzo di espressione di chi ho di fronte. Ed è affascinante quando il soggetto ritratto si dona senza inibizione, nel senso che svela la sua anima, si esprime senza aver paura e timore del giudizio. È bellissimo quando qualcuno si svela così com’è, come quando una donna si toglie il burka, ti mostra un lato segreto.
Qual è il tuo pregio più grande?
Il riuscire a mettere a proprio agio tutti, ma veramente tutti!
Cos’è per te la fotografia?
È una delle mie più grandi ossessioni, per me è tutto, spostando la luce di pochi centimetri dico cose spiritualmente diverse. La fotocamera è diventata il
prolungamento del mio occhio e della mia mente, perché la fotografia si scatta prima nella mente, è cultura, è un potente mezzo di comunicazione e per far pensare, non a caso ho organizzato una mia mostra, “Flowers”, per lanciare un messaggio forte contro il bodyshame.
Qual è stato il complimento più bello che hai ricevuto?
Spesso mi dicono, “tu rubi l’anima”. E in un certo senso è vero, perché interrompi il corso della vita, congeli un attimo, la persona che fotografi, rendi eterno un istante. Fotografare è come scrivere un libro. Rileggendola con convinzione, una fotografia riesce a cambiare la percezione della morale, gli stati d’animo, perfino i sogni di un individuo. È un potere immenso. Noi fotografi siamo la memoria della società, abbiamo un compito, una responsabilità pesantissima e faticosa da portare avanti.
Il lavoro che fin qui ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Le mie mostre, in particolare la prima, “Music life”, che racchiude tutte le star della musica che ho fotografato, ha avuto un consenso popolare e mediatico veramente esagerato. Mentre l’ultima, “Flowers”, è un messaggio e una coccola per tutte le donne.
Chi ti piacerebbe fotografare?
Nina Zilli, per il suo stile unico, e i Maneskin. Si, loro sono proprio da fotografare! E poi tutte le donne in attesa che vogliono delle fotografie
uniche.
Quale effetto fa fotografare personaggi famosi? E chi ti ha trasmesso qualcosa di speciale?
Tra artisti ci si riconosce, così l’interesse principale si focalizza sul produrre
un buon prodotto, quindi l’effetto è come se due persone “normali” stanno
lavorando. Diciamo che mi è rimasto lo sguardo impresso di Bono degli U2, quando mi ha guardato in camera… indimenticabile, un momento che non riesco a cancellare dalla mia mente. E poi quando ho incontrato e fotografato Thomas Lang, uno dei più grandi batteristi, un’armadio, abbiamo scattato una foto con in evidenza il suo bicipite, che era quanto la mia testa. E aggiungo il maestro Riccardo Muti con la sua imponenza e uno spessore che avverti e che magicamente esce in fotografia, perché chi ha da dire qualcosa, in fotografia lo dice, anche bene!
A quale fotografo ti ispiri?
Io amo Henri Cartier-Bresson. Se devoraccontare, mi ispiro alui. Adoro anche Gastel, a cui ho dedicato una mia opera della collezione Flowers, per la sua eleganza nello scattare e soprattutto come persona. E poi Anton Corbijn: il suo occhio rock è stato d’ispirazione per tutti i miei scatti per le band e rockstar, come lo stesso Fin Costello, ritrattistica e reportage rock, trovo le sue foto uniche! Storm Thorgerson è un genio, una mosca bianca, invito a vedervi tutte le copertine che ha fatto per i Pink Floyd e per i Muse, un mostro sacro per me. E infine il pugliese Jopseph Cardo: lo amo.
Cosa ti distingue dai tuoi colleghi?
La mia scelta stilistica, il modo di interpretare le cose, di esprimermi, di non ripetermi. Ho uno stile, e quello stile mi contraddistingue dagli altri.
Esiste la fotografia perfetta?
Non esiste, esiste la mia visione, in questo periodo ho il ripudio per la perfezione, troppo ostentata in questi ultimi anni in tutto. Non ne posso più delle modelle taglia 38-40, delle scelte stilistiche imposte. No grazie, basta! Le regole spesso le infrango tutte. La gente ha bisogno di vedere altro, la perfezione ha scocciato, soprattutto quella per la fisicità femminile. Riguardo a questo tema, spesso qualche mamma è venuta a far fotografare la propria figlia perché era diventata insicura davanti allo specchio. Bene, in questi casi la fotografia diventa terapia, e io divento anche psicologa, perché riesco a farsi accettare così come si è, con le curve e le rughe: noi donne siamo belle così come siamo.
È affascinante come interpreti la maternità, come ci sei arrivata?
La ritrattistica che riguarda la maternità mi piace molto, dopo essere diventata mamma ho capito tante cose. Tutti interpretavano alla stessa maniera la maternità, io miro a progettare su misura lo shooting e soprattutto a valorizzare la donna nelle sue curve, farla sentire bella e unica, perché in questi momenti la donna si riveste di insicurezze, ma è di una bellezza unica. Il mio compito è valorizzarla, farla sentire bella e a proprio agio.
Dove ti vedi tra 5 anni?
Oggi sono madre, ma appena mio figlio sarà più grande tornerò a seguire i miei sogni. Al momento lui ha la precedenza su tutto, i miei sogni sono un attimo in pausa. Tra cinque anni mi vedo a ritrarre altri personaggi famosi e a raccontare storie di future mamme e magari, perché no?, anche quelle di chi ci sta leggendo.
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