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“Il sussurro del mondo. Nel cuore della Valle D’Itria”

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Il milanese Paolo Belloni ha creato in Puglia il conservatorio botanico “I Giardini di Pomona”: 10 ettari di terreno con 650 varietà di fichi, 100 di melograno, e poi agrumi, viti, una foresta alimentare, meli ornamentali. In questo luogo straordinario, incantato e incantevole, l’ex fotografo conserva un patrimonio da trasmettere alle generazioni future e insegna ad amare la natura. Ma anche se stessi e il prossimo

Nell’estate in cui ho letto il meraviglioso libro premio Pulitzer 2019, “Il sussurro del mondo”, di Richard Powers, ho scoperto che il sussurro del mondo ce lo avevo a pochi chilometri da casa, Lo potevo ascoltare, toccare ed annusare in un luogo non molto lontano da me. Non molto lontano da tutti noi pugliesi.
Si chiama “I giardini di Pomona”, ed è un posto incredibile e meraviglioso immerso nel silenzio lussureggiante della Valle d’Itria, a pochi chilometri da Cisternino come da Martina Franca e Locorotondo: 650 varietà di fico, 100 di melograno, poi la foresta alimentare, meli ornamentali, agrumi, il labirinto di lavanda e l’albero della vita, alberi e piante di ogni tipo, ma soprattutto tanta poesia e un infinito amore per la terra e la natura. “I Giardini” sono la creatura di Paolo Belloni, un ex fotografo milanese che ad un certo punto della sua vita scopre i bonsai e si innamora delle piante, e così decide di vendere il suo immobile di quattro piani per acquistare 10 ettari di terreno in Puglia ed inseguire il suo nuovo sogno. A prima vista quest’uomo di 72 anni portati benissimo ti appare un folle. Dopo un’ora sei innamorato del personaggio, della sua storia, del suo modo di vivere. È proprio come i vari protagonisti del libro di Powers: spende i suoi giorni per far capire ai suoi simili l’importanza degli alberi e del rispetto della natura. E con quel suo sorriso ci riesce benissimo.

Perché ha creato i Giardini di Pomona?
Per trasmettere alle generazioni future questo enorme patrimonio creato da generazioni di agricoltori in svariati millenni. Un patrimonio che stiamo buttando via ad una velocità impressionante.

“La complessità della natura è come la complessità degli uomini. Le piante stanno bene tutte insieme. Nella complessità gli elementi tendono sempre a trovare il loro equilibrio. Quando invece scegliamo di semplificare, allora ci esponiamo a dei rischi”

Paolo Belloni

Perché proprio in Puglia?
Il Sud è la banca genetica italiana, quindi non potevo che farlo al Sud. Ho fatto il consulente per tre anni nel Parco del Cilento. Poi ho fatto le mie prime mostre pomologiche in Calabria, ma non mi convinceva. Infine ho visto la Puglia ed ho capito che dovevo farlo qui. Però prima di trovare questo luogo ho visitato una sessantina di posti in 30 giorni.

E perché ha scelto proprio questo pezzo di Valle d’Itria, che raggiungi solo se ti funziona Google Maps?
Perché è strategico, siamo all’incrocio dalle tre province di Bari, Brindisi e Taranto.

Perché questa passione proprio per i fichi?
Perché è la varietà che più si adatta al territorio e ai cambiamenti climatici. È quella più rustica e che non richiede molta acqua. È quella coltivata da più tempo, e se l’uomo non ha mollato una pianta per più di 11.000 anni ci saranno motivi più che solidi: frutto squisito, energetico, sempre sano anche se non viene trattato, facile da essiccare
e conservare, è perfino un anti-tumorale. Resiste a caldo e al freddo, anche al -20 gradi. Vive a lungo, circa un secolo, e costa poco: una pianta costa meno di un mazzo di fiori e ti alimenta cinque generazioni. È uno scrigno di tesori per la salute:
ferro, magnesio, potassio (ne ha il doppio della banana). È una pianta infinitamente generosa: ne ha sempre per tutti. E infine è un attrattore turistico incredibile…

Questa non la capisco.
Più della metà dei 5000 visitatori che ogni anno vengono ai Giardini di Pomona viene dal Nord Europa e sa che qui può assaggiare frutti che a Parigi costano 2 euro l’uno. A Mosca un chilo di fichi costa 100 euro. Una tratta aerea Mosca-Bari costa 50 euro. Conviene farsi un viaggio e venirli a mangiare qui.

Lei durante le visite con i turisti ama soffermarsi sulla “complessità della natura”?
La complessità della natura è come la complessità degli uomini. Ci pensi: abbiamo sempre bisogno di classificare tutto, poi la natura ci insegna che invece le varianti sono infinite. Nella complessità gli elementi tendono a tornare in equilibrio, mentre la semplificazione espone sempre a dei rischi.

Ho l’impressione che voglia dire altro, o che parli delle piante per parlare degli uomini…
Ci pensi: le piante stanno bene tutte insieme. Il bosco continua a produrre nonostante tu prenda il terriccio, i funghi, i rami secchi. E questo accade grazie all’infinità di relazioni tra mondo vegetale e animale.

Come giudica il modo in cui èstato affrontato il problema xylella?
La scienza diceva una cosa, la magistratura un’altra e la politica un’altra ancora: il risultato è stata una grandissima confusione. Non ho condiviso le fasce di contenimento perché non hanno mai funzionato. Non ho condiviso i ritardi, perché i problemi si affrontano subito e non si lasciano dilagare. E poi non ho condiviso l’approccio molto settoriale.

In che senso?
È stato detto di eliminare gli alleati del nemico: la sputacchina essenzialmente. Ma ci sono dieci malattie in fila che stanno per entrare in Puglia. Un filosofo qualsiasi avrebbe detto che imboccando questa strada saremmo giunti alla morte, perché se cambiano le malattie e gli alleati dei nemici, allora vai dritto alla distruzione totale. Avremmo dovuto farci alleati, aumentare la biodiversità: con questo sistema il mondo è andato avanti. Non è che si possono curare i danni causati dalla chimica negli ultimi 100 anni usando altra chimica. Forse è proprio l’approccio al problema che deve cambiare: avrebbero dovuto ascoltare agronomi, biologi, fitopatologi, botanici, ma anche filosofi, economisti, medici. Non si può affrontare una emergenza così devastante con un’ottica limitata e riduttiva.

“La pianta più importante del conservatorio botanico è quella del Kaki Tree Project, arriva da Nagasaki. L’abbiamo piantata in mezzo ad un labirinto di lavanda. Per ricordare che se vuoi la pace devi percorrere un po’ di strada. Perché la pace non è una cosa scontata ma una conquista quotidiana”

Paolo Belloni

Lei è fiducioso?
Dobbiamo dare alle piante il tempo di reagire, perché le piante reagiscono. Ovviamente le piante infette dovevano essere eliminate subito.

Malgrado le 650 varietà di fico, lei ritiene che la pianta più importante del conservatorio sia un’altra, il “Kaki tree”. Perché?
Per il suo significato simbolico e per l’insegnamento che lascia. È figlia della pianta che è stata trovata viva sotto le rovine della bomba del 9 agosto 1945 a Nagasaki. Una pianta fortemente danneggiata dalle radiazioni, che sopravvive fino agli anni ‘90, quando inizia a dare segni di malattia. Il botanico Masayuki Ebinuma la cura con tutta le sue conoscenze e nell’autunno la pianta ridà segni di vita, torna a fare frutti e i suoi semi vengono donati ai bambini delle scuole dicendo loro “abbiatene cura perché questa pianta è stata più forte della guerra nucleare”. Ed è così che diventa il simbolo della possibilità di rinascere e della pace nel mondo. Noi l’abbiamo piantata in mezzo ad un labirinto di 596 piantine di lavanda, per dire ai nostri visitatori che se vogliono la pace un po’ di strada la devono percorrere. La pace non è una cosa scontata ma una conquista quotidiana.

Ma lei che ci guadagna a fare tutto questo?

(Mi guarda, sorride, e poi risponde). Guardi che io ho una vita sola!

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