In un territorio in cui è in corso la guerra Stato-criminalità, l’associazione “Fratelli della stazione” aiuta uomini senza fissa dimora, donne in difficoltà, insomma gli ultimi degli ultimi. Per insegnare loro un mestiere. Trovare un tetto. Restituire dignità. E una nuova vita
CLOSCIÀ È SEMPRE LÌ, FERMO SUL MURO A GUARDARE.
Osserva dall’alto la città di Foggia ed i suoi abitanti. I suoi occhi inchiodano, parlano, agguantano con forza chiunque passi in via Montegrappa. E parlano di sofferenza, di povertà, di emarginazione. Closcìà è nato proprio per questo: per far riflettere, suscitare domande, chiedersi quale storia si nasconde dietro ogni persona senza dimora. Perché dietro ad ogni clochard c’è una vita passata, forse un po’ sbiadita, ma comunque passata che vive il presente con difficoltà e senza ormai più la forza di immaginarsi il futuro. Il murales intitolato Closcià è oggi parte integrante di uno spazio urbano del quartiere Ferrovia.
La sua immagine sofferente e sgualcita ha riqualificato la parete del Cinema Cicolella e, forse, anche i pensieri di tanta gente. Pregiudizi, paure, indifferenza. L’installazione artistica realizzata da Alessandro Tricarico aveva proprio questo obiettivo: catturare l’attenzione sul mondo degli invisibili, dei senza dimora. E per farlo, l’artista foggiano, oltre alla collaborazione di Spazio Baol, si è fatto aiutare dall’associazione Fratelli della Stazione, impegnata da oltre vent’anni in attività di assistenza ed accoglienza di quanti per i motivi più diversi vivono in strada. Uomini e donne. Italiani e migranti. Come Closcià, all’anagrafe Antonio Grilli, con un trascorso nella Marina Militare e tanti anni di vagabondaggio per l’Italia. Antonio, tra i senza dimora sostenuti dai volontari dei Fratelli della Stazione, ha prestato volentieri il suo volto per «sensibilizzare cittadini ed istituzioni sul problema dei senza dimora». Ma non lo nega. Il suo sogno, nonostante tutto, resta quello simile di tanta gente: «Ora che ho la residenza anagrafica fittizia spero di prendere il reddito di cittadinanza o di trovare lavoro, e comunque mi sto avvicinando all’età per prendere la pensione, anche sociale. Insomma, spero di riuscire ad affittare una casa in cui vivere e poter fare una vita normale».
IL SERVIZIO IN STAZIONE.
Antonio, Domenico, Marco, Anna, Samuel, Giuseppe, Giovanna sono solo alcuni dei nomi che in questi anni hanno incrociato il cammino dei volontari. Storie, volti, persone il cui destino è stato segnato da un evento che ne ha compromesso il cammino. Gioco d’azzardo, separazione, perdita del lavoro, litigi familiari, dipendenze, fuga da Paesi in guerra.
«È cambiata in questi anni la povertà. Sono cambiati i poveri, le esigenze, le situazioni – spiega Leonardo Ricciuto, presidente dell’organizzazione di volontariato – . Prima al servizio incontravamo quasi esclusivamente migranti, nord africani, poi i cittadini dell’Est Europa provenienti dalla Romania, Bulgaria, Polonia. Oggi, invece, sono tanti i senza dimora italiani, anche anziani e giovani, che sono finiti a vivere in strada». I Fratelli della Stazione sono nati nel 1998. All’inizio erano pochi ragazzi che di sera andavano davanti alle panchine della stazione di Foggia per portare latte caldo, biscotti e qualche coperta ai clochard. «Un modo per entrare in contatto con loro. Per conoscerli, avvicinarci alle loro storie e capire cosa potevamo fare. Ma quello che chiedevano – prosegue Ricciuto – era soprattutto un contatto umano, parlare con qualcuno, sentirsi persone vive». Perché la povertà oltre a rendere più fragili, rende invisibili. Per questo, nonostante siano passati tanti anni, «il nostro servizio, la nostra attenzione ai nomi, ai volti, alle storie dei senza dimora che incontriamo in stazione non è cambiata. Anzi. Semmai si è trasformata in altro, in servizi che tentano di andare oltre al latte caldo ed ai biscotti che dal martedì al venerdì sera portiamo in stazione ai poveri che vivono da quelle parti».
“In questi anni la povertà è cambiata. Sono cambiati i poveri le esigenze, le situazioni. Prima erano soprattutto migranti, oggi invece incontriamo tanti italiani. Anziani e giovani che sono finiti a vivere in strada”
DAL DORMITORIO AL DIURNO.
Nel 2009, per esempio, dopo una lunga battaglia l’associazione ed il giornale di strada “FogliodiVia” sono riusciti a far sbloccare dall’allora sindaco Gianni Mongelli la residenza anagrafica fittizia “Via della Casa Comunale”, che permette ai senza dimora di avere un domicilio, la carta di identità e cosa più importante la possibilità di poter accedere a cure mediche, al voto, alla pensione, alla casa popolare e così via. «Da cinque anni e mezzo – evidenzia Ricciuto – gestiamo nella parrocchia di Sant’Alfonso de’ Liguori un dormitorio che ogni notte, grazie al sostegno economico della Fondazione dei Monti Uniti e della Fondazione Siniscalco-Ceci Emmaus offre accoglienza notturna a trenta persone. Inoltre, grazie alla Fondazione Megamark prima e Vodafone Italia dopo, da un anno abbiamo attivato il Centro Diurno “Il Dono”, che mira a favorire una reale integrazione di poveri e senza dimora attraverso laboratori, corsi di formazione, elaborazione di curriculum, contatti con agenzie per il lavoro».
Tanti servizi, dunque, nati dall’esigenza di coprire un buco, di colmare un vuoto di assistenza sociale causato dalla mancanza di interventi attivati dall’Amministrazione Comunale di Foggia, che solo lo scorso mese di febbraio ha finalmente pubblicato il bando per strutturare il “Piano Locale di Contrasto alla Povertà (PAL)”. Ma nel frattempo, in questi ultimi vent’anni, bisogna intervenire, dare risposte, accogliere.
IL GIORNALE DI STRADA “FOGLIO DI VIA”.
L’associazione Fratelli della Stazione, nel suo cammino, ha macinato anche tante sconfitte, delusioni, amarezze. Marian, Eduard, Mario, Michele – solo per citarne alcuni – sono persone che non ce l’hanno fatta. Morte di povertà, a causa della vita di strada e forse per l’indifferenza o pigrizia di tutti, anche degli stessi volontari. Altri non sono morti, ma la loro vita quanto è cambiata nel corso degli anni?
Qualcuno si è reintegrato, è tornato a vivere, qualcun altro no, è ancora lì che soffoca nella polvere. Perché l’emarginazione, la solitudine, la mancanza di servizi possono fare molto male. Ed allora, i Fratelli della Stazione continuano a sognare ed immaginare altri servizi. Come il giornale di strada “Foglio di Via”, che dal 2005 parla di sociale, di emarginazione, di storie di vita. Ma che diventa anche e soprattutto un’occasione di integrazione sociale e lavorativa per i senza dimora, perché ogni diffusore riceve un compenso per il giornale che distribuisce per le vie della città di Foggia.
Un mensile free-press che ha all’interno della redazione giornalisti, volontari e senza dimora. La dignità di scrivere, di pensare, di guadagnare dei soldi con il lavoro.
“LA SCARPA SOSPESA”.
L’ultimo intervento in ordine di tempo è la “Scarpa sospesa”, che nasce sempre con Closcià, il cui intento era anche quello di avviare una campagna solidale per donare più scarpe possibili ai senza dimora, ai poveri, a chi non ha la possibilità economica di acquistare un paio di calzature ad un prezzo modico. Perché una scarpa comoda, nuova, che calza alla perfezione, può rappresentare una sorta di metafora per la loro ripresa, il loro cammino verso l’inclusione sociale e lavorativa che punta ad uscire dall’invisibilità.
Lo ha fatto capire molto bene Mohamed che calza 48 cm di piede e che in questi anni ha faticato non poco a trovare scarpe che gli calzassero a pennello. Ed è rimasto di stucco, quando qualche sera fa i volontari si sono presentati al dormitorio con il “misuratore per scarpe” per rilevare i numeri dei piedi a tutti gli ospiti della struttura. Una serata mista di sentimenti. Da una parte incredulità, timore, scetticismo; dall’altra, felicità, imbarazzo e voglia di avere qualcosa di nuovo fatto appositamente per loro.
Un piccolo progetto di solidarietà reso possibile dalla comunità foggiana che in due mesi ha donato quasi 1.500 euro, che adesso si trasformeranno in paia di calzature per i senzatetto. Probabilmente, anche indossando scarpe nuove molti di loro non usciranno immediatamente fuori dalla polvere. Ma potranno iniziare a camminare meglio, a capire che nonostante tutto c’è una comunità attenta e solidale pronta ad offrire il suo aiuto. E potranno sempre fare affidamento sullo sguardo protettivo di Closcià, che osserva tutti dall’alto e protegge i sogni che si levano dal marciapiede. Anche e soprattutto da quelli più impolverati.
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