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Teo Carlucci: crederci sempre, parola del fondatore dell’Osteria del tempo perso

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teo carlucci osteria del tempo perso

Teo Carlucci, fondatore dell’Osteria del tempo perso di Ostuni, ristorante ormai iconico e sempre frequentato dai turisti, ha appena compiuto 70 anni. E qui racconta una vita di lavoro e di grandi sacrifici. Ripagati dall’affetto dei clienti e dal successo delle sue attività.

Teo Carlucci ha compiuto 70 anni lo scorso venerdì 13 gennaio, nella sua Ostuni, con moglie, figli e nipotina. Una vita semplice e normale, quella del titolare dell’iconica Osteria del Tempo perso, luogo incantevole e amato da turisti e clienti pugliesi che ormai da quasi 40 anni ne tributano il grande successo. Una vita semplice e normale può però essere d’insegnamento a quanti operano o hanno deciso di buttarsi nel settore della ristorazione e dell’ospitalità turistica. Perché in questi quasi 40 anni di attività nel borgo antico della Città bianca, Teo Carlucci ha avuto una serie di intuizioni che, pian piano, lo hanno portato ad affiancare all’Osteria anche un B&B, le due pizzerie gourmet “Bellavista” (ad Ostuni e Carovigno), e il Bar Perso. A cui presto si aggiungerà uno shop di prodotti locali.

Da anni l’Osteria del tempo perso è meta di turisti internazionali. Ma agli inizi non fu così semplice…

Già. Nell’aprile dell’84 c’erano con noi mia madre Gina e mia suocera Francesca che facevano le orecchiette e preparavano i piatti della cucina più tradizionale che potesse esistere. E il centro storico di Ostuni non era certo quello di oggi. Assomigliava ad un Far West. Con la delinquenza e le rapine. Noi ne subimmo tre. Diciamo che sono stato il pioniere in un deserto in cui all’epoca c’erano forse solo un paio di ristoranti.

Perché decise di aprire nel borgo?

Fu una illuminazione. Non volevo aprire a Carovigno, la mia città. Qualche estate prima feci una passeggiata nel centro storico di Ostuni, in pieno agosto, e mi colpì trovarla gremita di turisti. Così nella mia mente dissi “un giorno aprirò qui”. Ed è accaduto.

teo carlucci osteria del tempo perso

Eppure lei lavorava in Toscana e ne era innamorato.

Vero. Già nel 1969 frequentavo l’Alberghiero di Brindisi e d’estate lavorai in vari hotel toscani. Feci esperienze prima a Punta Ala, poi a Firenze, fino ad arrivare al Villa San Michele di Fiesole, uno dei cinquestelle più conosciuti al mondo. Ho lavorato 5-6 anni lì, poi ho conosciuto mia moglie Maria Antonietta. Era novembre 1982, ad aprile 1983 ci siamo sposati. Siamo partiti per Firenze, perché io dovevo ricominciare al Villa San Michele, ma lei non voleva restare in Toscana. Così decisi di rientrare. Ebbi una proposta di lavoro all’Hotel Carbrun, in tre mesi facemmo 90 matrimoni. A fine settembre decisi di aprire un locale tutto mio.

E come trovò la grotta che poi divenne l’Osteria?

Tramite un amico di Ostuni, che mi parlò di un locale libero e chiuso. Parlai con il proprietario, lo affittai. Ma era solo la prima sala. La grotta accanto, un forno del 1500, era completamente abbandonata, la prendemmo nel 1987 e ampliammo il locale.

Secondo lei cosa decretò il vostro boom immediato?

Il fatto che quando aprimmo nel centro storico c’erano colonie di romani, milanesi, veneti ed emiliani che volevano conoscere la cucina locale: con i nostri piatti della tradizione e con la carrellata di antipasti diventammo un’attrazione. Fu un successo enorme.

E oggi siete conosciuti in tutto il mondo…

Una cosa inimmaginabile. Diciamo che in questo ci hanno aiutato le
televisioni. Più di una volta la tv giapponese è venuta a riprenderci. Con loro abbiamo registrato un reality: abbiamo ospitato un’attrice giapponese e sette operatori. In una settimana le abbiamo insegnato come fare le orecchiette, i cavatelli e il pane. Ha imparato anche a cucinare la pasta e quell’esperienza è stata meravigliosa. Quando l’hanno trasmessa in tv sono iniziate ad arrivare frotte di giapponesi.

Ma sono tanti anche gli americani…

È vero, sono arrivate troupe anche dagli Stati Uniti. Collaboriamo con una scuola di cucina a New York, la “Rustico Cooking”: ogni anno a maggio e settembre vengono da noi e facciamo tre ore di lezione di cucina e poi pranzo e cena. Ci hanno appena inviato una lettera con gli auguri di Natale e i ringraziamenti per tutto quello che abbiamo fatto per loro. A volte faccio fatica a spiegarmi il perché di tanto successo, perché da gennaio a dicembre ci arrivano prenotazioni da gente che viene da tutte le parti del mondo, e ancora oggi ci stupiamo. Pensi che a volte siamo costretti a staccare i telefoni. È una cosa brutta, lo so, e infatti abbiamo deciso di non farlo più: risponderemo sempre. Ma in certi periodi qui c’è da impazzire…

Nel frattempo la vostra cucina si è evoluta. Cosa è cambiato?

Dieci anni fa ci accorgemmo che la gente iniziava a mangiare sempre meno e voleva scegliere cosa mangiare. La carrellata di antipasti non era più ben vista. E allora l’abbiamo eliminata. Ma nel cambiamento abbiamo mantenuto la nostra ristorazione, che è rimasta senza grandi manipolazioni, fatta con prodotti semplici e di qualità.

Per qualche tempo ha accarezzato il sogno di portare l’Osteria anche a Milano. Poi però ci ha ripensato. Perché?

Ci avevo pensato, ma avrebbe significato penalizzare molto il ristorante di Ostuni. E forse l’investimento non valeva nemmeno la candela. Abbiamo preferito concentrarci sulla Puglia, aprendo il B&B con 4 camere con terrazzo panoramico, le pizzerie e quest’anno anche il bar. Bisogna essere presenti
sul posto per poter controllare bene tutte le attività. Milano poteva essere un’opportunità, ma anche una distrazione pericolosa dal nostro core-
business.

Che continua ad espandersi.

Ma sempre in questo scorcio di centro storico. Tra il ristorante e la pizzeria
quest’anno dovremmo aprire un locale di 100 mq in cui vogliamo fare uno
shop a marchio Osteria, inserendo anche degustazioni di tapas pugliesi.

Come è stato l’ingresso in azienda di suo figlio?

Sono stato fortunato, perché Antonello dopo aver preso la maturità classica ha
voluto seguire le mie orme, e dunque sono stato avvantaggiato.

Qual è il primo insegnamento che gli ha dato?

Guardi, io ho sempre creduto in quello che facevo. Ed è questo il primo
insegnamento che ho dato a mio figlio: credi sempre in quello che fai e fallo
con il cuore, con dedizione e passione. Perché questo lavoro lo devi fare solo
se te lo senti dentro. Io lo sentivo. E mio figlio pure. Ecco perché il successo dell’Osteria continua ancora oggi anche grazie a lui.

In cosa pensa di essere stato davvero bravo?

Nel rapporto con i clienti, che è molto, molto importante. Li ho sempre fatti
sentire come se fossero a casa loro. Ho clienti che dopo 40 anni mi ricordano
ancora con affetto e simpatia e mi ringraziano per quello che ho fatto per loro. E poi penso di essere stato bravo nel non mollare. Fino al 1988 il centro storico di Ostuni è rimasto una zona pericolosa, avevo subito tre rapine e pensavo di arrendermi, ma fui caparbio e andai avanti. Decisi di resistere e la mia resistenza alla fine si è trasformata in successo.

A chi si ispirava da giovane?

Ho sempre stimato Angelo Ricci, lo incontravo spesso a fare la spesa e speravo di riuscire ad imitarlo. Era un maestro della ristorazione e volevo immedesimarmi in lui. E come lui facevo la spesa da solo. Accade ancora oggi.

Lei ha lavorato in Toscana ed ha vissuto il successo turistico della Puglia. In cosa dobbiamo ancora migliorare?

Diciamo subito che la Toscana fa turismo da 200 anni, noi solo da 30. In Puglia bisogna far capire agli amministratori locali che devono avere una visione ed essere lungimiranti. Se noi crediamo che Ostuni possa continuare a vivere di rendita è un grosso errore: la rendita col passare degli anni svanisce, e gli amministratori devono curare e salvaguardare quello che hanno. Anche nei mesi invernali.

A 70 anni, cos’altro vuole fare?

Rallentare. Mi voglio riposare, ho una nipotina da accudire e ne sta arrivando
un’altra. È tempo di dedicarsi a loro. Largo ai giovani.

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