Puglia Restaurants

L’inventore del panino gourmet

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Carlo Amatori è stato per noi nella bottega di Noci che Carlo Petrini ha definito “patrimonio dell’umanità”

E dire che non voleva fare questo mestiere… Piermarino Notarnicola da Noci, classe 1961, è un “pane d’uomo” in tutti i sensi.

È l’ambasciatore della Puglia, delle tradizioni pugliesi e della sua enogastronomia. Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, lo ha definito “Patrimonio dell’Umanità”. “Tutto questo clamore ha stupito anche noi: non pensavamo di fare tanto rumore”. Michele, il padre, figlio di contadini e piccoli autotrasportatori, si ritrova a gestire una piccola bottega di paese. Nei matrimoni degli anni ‘60, Piermarino era “costretto” a servire gli invitati con i panini preparati dal padre e dalla madre per il ricevimento. “Mi vergognavo.
Non volevo fare questa cosa”, ricorda ancora il “Gourmet” dei panini. Appena 16enne inizia a girovagare per l’italia per la stagione estiva: cameriere, aiutante di cucina e anche aiuto-chef nei ristoranti e negli alberghi della riviera romagnola. “Era un modo per essere autonomo economicamente. A casa – continua Piermarino Notarnicola – stavamo bene; papà, con mille sacrifici, non ci ha mai fatto mancare niente”. E arriviamo al 1980 e, pur di non fare il salumiere, Piermarino trasforma la bottega di papà Michele in un punto di degustazione di prodotti tipici. “Nel mio vagare ho sempre cercato di conoscere e, soprattutto, mangiare i prodotti del territorio. E la Puglia “aivoglia” a materie prime”. E da questo momento gli occhi di Piermarino cominciano a brillare e il suo racconto fa venire l’acquolina in bocca. “Abbiamo scoperto che la nostra Puglia ha un “manicomio” di cose buone. E soprattutto non buttiamo mai niente, proprio come ci hanno insegnato i nostri avi”. Partendo da questo presupposto, Piermarino racconta dei suoi “studi” sul pane, sulla pasta, sulle farine, rigorosamente da grano duro “Senatore Cappelli”. È un fiume in piena, un’enciclopedia di fatti e persone. Come la storia del pastificio materano “Padula” o di quel signore di Santeramo in Colle che rispondeva al nome di Peppino Benagiano, piccolo produttore di pasta con una conoscenza così spaventosa tanto da riconoscere il grano semplicemente “assaggiando” il chicco. Anche in questa storia, “dietro un grande uomo, c’è sempre una grande donna”. Che in questo caso si chiama Anna. “È importante. Ci conosciamo da 32 anni (prossimi alle nozze d’argento, ndr) e si è fatta travolgere da questa passione e amore in maniera esasperata. Ogni tanto mi tira fuori qualche invenzione gastronomica che stupisce anche me. Le sono davvero riconoscente, perché un’altra donna non avrebbe fatto questo”. Il suo amore per la terra ha fatto si che coinvolgesse e, in alcuni casi, riconvertisse agricoltori, fornai, casari e norcinai nei suoi progetti di un cibo sano e genuino. A Noci (in Via Cavour, 86) e nel mondo, ormai (credeteci), lo conoscono come “Marino, na dogghia d’Aneme” che già a pronunciarlo noi, figuriamoci gli stranieri. Eppure… “È una frase in dialetto nocese – ci spiega – che significa avere un languorino, un “buco nello stomaco”. Ma “na dogghia d’anime” aveva anche una funzione sociale perché era la scusa legale, quando si tornava a casa ubriaco, per aver passato la serata in cantina”.

Sia chiaro: non vi sognate di chiedere il menù. Il panino è un’arte e nasce dal connubio tra i vostri gusti (la farcitura del panino è strettamente personale) e le materie prime preparate da Marino e Anna.
Avete la possibilità di scegliere tra circa 30 farine e pane diversi, combinate secondo la stagionalità. “Chi passa da noi, locale o turista, scopre un mondo che è diverso dalla ristorazione comune, dove in cucina c’è lo chef, mentre da noi il piatto, il panino, lo si crea insieme”. Ecco alcune idee: “Il pane saraceno lo abbiniamo con la granella di pistacchio, con le mandorle; il panino di grano arso con le farine di cereali, l’impasto con il vino primitivo e con i pezzi di percoco”.

E per guarnire i panini?
“Con le verdure di stagione. Per esempio, adesso è periodo di fichi d’india: usiamo la buccia in agrodolce, oppure la facciamo pastellata. Non buttiamo niente. Cuciniamo la sporchia (orobanche, pianta erbacea priva di clorofilla, parassita poiché nasce e si alimenta di linfa sottratta alle radici delle piante delle fave, ndr). O ancora le cime di vigna (i tralci più teneri della vigna, ndr) che hanno delle proprietà meravigliose, un antiossidante per natura. Oppure tagliamo la parte bianca della fetta dell’anguria, eliminiamo la buccia verde e la proponiamo panata e fritta e con due gocce di vincotto sopra: vi assicuro che è una cosa meravigliosa”.

E poi le salse fatte in casa…
”Le salse noi le attenzioniamo con le mandorle, con le noci, con la carota di Polignano ed esclusivamente con olio extravergine della nostra terra. Le proponiamo a secondo della scelta del pane”.

Maionese bandita?
“Assolutamente, il demonio! Ogni tanto c’è qualcuno che la chiede o ci chiede il gorgonzola: rispondo che abbiamo il formaggio con i vermi che è un prodotto tutto nostro”.

Ma è solo passione la sua?
“Qui c’è il cuore. Ti annienti come persona perché ci credi e, a volte, sei vittima di te stesso perché ti fai prendere così tanto la mano che non ne vieni più fuori. La fortuna nostra è stata quella di nascere in questa terra, fatta di persone vere, genuine”.

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