Personaggi

La ricerca di sè

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Leviga, smussa, taglia e rompe la pietra. Cerca di donare calore usando un materiale freddo. I suoi mosaici sono ispirati dal suo umore e dalla musica di Bach e Hindemith. Ma per poterli realizzare, deve sentire la creazione come qualcosa di suo. Perché ciò che vuole non è solo il profitto. Ma qualcosa di più

Stefania Bolognese ti colpisce tre volte: prima con le sue opere, poi con gli occhi, infine con le parole, che vanno dritte al cuore. Lavora la pietra, la smussa, oppure la lascia ispida, a seconda dello stato d’animo del momento. Lo fa in un laboratorio di pochi metri quadri, ricavato in un palazzotto in cui c’è solo pietra e null’altro, nel borgo di Carpignano Salentino: una bomboniera di vicoli e cripte nella Grecìa Salentina. In 33 minuti di chiacchierata fatta con le porte e le finestre aperte, non passa nessuno. Sembra di trovarsi in un paese deserto. La registrazione dell’incontro restituisce solo la sua voce, il cinguettio degli uccelli e il suono delle campane.

La passione per l’arte nasce a casa. «Sono la quarta di quattro figli. Mia madre e mio padre, entrambi insegnanti, erano innamorati dell’arte. Mia madre ci dava sempre dei fogli per farci disegnare e creare in grande libertà. A causa di problemi di scogliosi che avevo da ragazza viaggiammo tanto per cure mediche e lei organizzava delle tappe per farmi conoscere le bellezze e le meraviglie italiane».
L’amore per il mosaico sboccia quando aveva 16 anni: «Un’amica del liceo sperimentale di Maglie mi disse che stavano restaurando il mosaico della cattedrale di Otranto. Chiesi di poter partecipare ai lavori e mi presero in squadra. Carlo Signorini, il capo dell’equipe dei restauratori, mi ha insegnato tutto».
Il passo successivo, dopo il diploma, fu la Scuola del Mosaico a Spilimbergo, con indirizzo restauro. Inizia a realizzare mosaici per alcuni privati, case, cappelle, e per un resort a Martano.

Alcuni li realizza in due giorni, altri richiedono due anni, come quello che raffigura due sante raffigurate in una cripta bizantina. Dipende tutto dall’ispirazione, dal suo umore, ma anche dal feeling con l’opera: «Vedi quell’occhio disegnato? Mi hanno chiesto di farne un mosaico, ma c’è qualcosa che mi blocca, non riesco proprio a realizzarlo. Non lo sento mio». Un imprenditore, pur di portare i soldi a casa, direbbe “fottitene e fai questo dannato occhio”, anche a costo di consegnare un lavoro scialbo. Ma il suo non è solo lavoro, è arte, passione, anima. Forse soprattutto anima. «Faccio tutto per me, non per gli altri. E se non sento mio l’oggetto dell’opera non riesco a realizzarlo».
Stefania Bolognese ama comporre le sue creazioni ascoltando altri compositori, soprattutto i capolavori di Bach e Paul Hindemith: «È musica che sento di avere dentro, rappresenta la mia inquietudine. Lavorare con la musica mi fa stare bene, ma mi svuota parecchio». E infatti ha realizzato quadrati inquieti, con pietre di altezze diverse che si affiancano ma puntano in direzioni opposte. Il caos che diventa armonia. Poi lo tocchi con le mani e rilascia tranquillità. L’inquietudine che si ricompone e diventa equilibrio. Inaspettatamente. Accadono cose strane in certi angoli di mondo.

«Per me lavorare è come fare una seduta dallo psicologo. Ogni opera che realizzo mi impegna molto ma mi aiuta a stare meglio». Che ci sia molto di psicologico è chiaro scorrendo i vari mosaici: i ritratti delle figlie e del marito, una vagina, degli occhi, un dna, gli spartiti, le sante. Ogni cosa che realizza dona sensazioni differenti a seconda di chi la guarda. «Quello che a me interessa è trasmettere una sensazione di calore pur lavorando un materiale duro e freddo».
E continua a comporre. Lei, la pietra, il silenzio esterno rotto dagli uccelli, la musica in sottofondo. Affianca pietre, smussa, leviga, taglia e spezza. Cerca la soluzione migliore. E un po’ anche se stessa.

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