Difficile credere a una inversione di tendenza: nel periodo 2008-2018 la spesa per gli investimenti ordinari nelle Regioni del Mezzogiorno è passata da 21 a 10,3 miliardi di euro, nonostante gli annunci. Ecco tutti gli investimenti infrastrutturali destinati alla Puglia e mai realizzati
Annunciare un Piano per il Sud è la trovata dei governi, di tutti i governi, per affermare che il Mezzogiorno è al centro dell’agenda politica. Lo fece il governo Berlusconi nel 2010, con annunci di investimenti per 100 miliardi. Replicò Renzi nel 2015 con investimenti potenziali per 98 miliardi e un Masterplan contenente 16 Patti territoriali destinati alle Regioni, alle Città metropolitane e all’area di Taranto. Lo ha fatto il governo Conte il 14 febbraio scorso, non badando a spese e annunciando investimenti certi, di risorse già disponibili, per 21 miliardi nel periodo 2020-2022 e 123 miliardi collegati ai fondi della programmazione europea 2021-2027 da spendere entro il 2030. Ma i dubbi sul nuovo annuncio sono tanti, perche quasi sempre si tratta di risorse riciclate, già destinate al Mezzogiorno negli ultimi 10 anni, e perché i risultati ottenuti al di là degli annunci sono stati davvero pochi. Il Sud arretra nonostante i Patti. Nei quali vengono anche annunciati percorsi burocratici semplificati
per riuscire a realizzare le opere programmate e spendere le risorse seguendo il cronoprogramma.
Nel periodo 2008-2018 la spesa per gli investimenti ordinari nella Pubblica amministrazione nelle Regioni del Sud si è più che dimezzata, passando da 21 a 10,3 miliardi. Partendo da questi dati il governo Conte, nel giorno di San Valentino, ha fatto la promessa di destinare al Mezzogiorno 21 miliardi aggiuntivi nel periodo 2020-2022, attraverso l’applicazione della clausola del 34 per cento e il recupero e l’accelerazione nella spesa di fondi per lo sviluppo e la coesione, e un Piano per il Sud da 123 miliardi di euro con investimenti collegati al fondi della programmazione europea 2021-2027. Lo stesso governo ha spiegato che verrà applicata concretamente la clausola
del 34 per cento, secondo la quale gli investimenti ordinari della Pubblica amministrazione nel Sud devono essere almeno pari alla percentuale della popolazione (cioè il 34 per cento. Una clausola (ora scritta nella Legge di Bilancio 2019) che in Italia non è applicata da almeno un ventennio.
C’è da crederci? Piani e interventi per il Sud se ne sono visti, soprattutto annunciati, tanti negli ultimi anni. I risultati sono stati davvero modesti.
Qualche dato per illustrare la situazione: nel 2018, stima la SVIMEZ, sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro capite rispetto ai 278 nel Centro-Nord (nel 1970 erano rispettivamente 677 euro e 452 euro pro capite).
Nel periodo 2008-2014 il Pil nelle Regioni del Mezzogiorno si è ridotto del 13,2 per cento, e in Puglia del 10,7 per cento. Nel periodo 2015-18 sempre il Pil delle Regioni del Sud è aumentato del 3,3 per cento e in Puglia del 4,5 per cento, sicché il divario nel periodo 2008-2018 è stato quantificato in meno 10,4 per cento nell’intera area e nel 6,7 per cento in Puglia. Mille euro prodotti in Puglia nel 2008, 10 anni dopo sono diventati 933.
In questi 10 anni di ulteriore impoverimento, prima del piano per il Sud presentato il 14 febbraio 2020, altri due piani avrebbero dovuto far crescere il prodotto interno lordo nelle aree del Mezzogiorno, rafforzare la coesione territoriale e impedire ai giovani di scappare in direzione delle Regioni del Nord e dell’estero.
Il primo piano è riconducibile a Silvio Berlusconi e al suo governo, nel quale proprio il pugliese Raffaele Fitto era ministro le la Coesione territoriale e gli Affari Regionali. Il piano fu presentato nel novembre del 2010 e prevedeva: il potenziamento della rete dei trasporti, fondi per l’edilizia scolastica, misure per l’utilizzo dei fondi per l’università, la costituzione della Banca del Sud per agevolare il credito agli imprenditori e per il rafforzamento degli interventi in materia di giustizia e sicurezza. la possibilità di commissari straordinari se gli interventi non avranno tempi certi.
La dote iniziale che il governo mise sul piatto era di 16 miliardi di euro, ma tra fondi già a bilancio da riprogrammare e nuovi stanziamenti europei si sarebbe dovuto arrivare a circa 100 miliardi.
Nichi Vendola, che all’epoca era presidente della Regione Puglia, ricordò che “il piano assomiglia alle mucche di Mussolini”. Il riferimento era al Ventennio, quando i gerarchi schieravano sempre le stesse mucche che venivano spostate da una zona all’altra in occasione dell’arrivo di qualche autorità del Regime. Nel film Anni Ruggenti del regista Antonio Germi girato nel 1962 a Ostuni e dintorni (attore protagonista l’indimenticabile Nino Manfredi) si vede una mucca con un corno spezzato, sempre la stessa, che compare a ogni visita e attira l’attenzione dell’ispettore che rappresenta il Regime.
Nel Piano di Berlusconi veniva previsto per la prima volta il ricorso ai “contratti istituzionali di sviluppo”, quale strumento attraverso il quale fissare il quadro degli impegni e delle responsabilità delle amministrazioni, le modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi per ogni priorità e il
relativo cronogramma; il quadro finanziario integrato e articolato per le risorse aggiuntive (fondi comunitari e nazionali aggiuntivi) e per le risorse ordinarie convergenti verso gli obiettivi di priorità.
Il “contratto istituzionale di sviluppo” è stato definito nella delibera CIPE n. 1 del 2011 e successivamente disciplinato dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 88 del 2011.
In particolare con il “contratto istituzionale di sviluppo” il Ministro delegato stipula con le regioni e le altre amministrazioni competenti, con la finalità di accelerare la realizzazione degli interventi ed assicurare la qualità della spesa pubblica. Attraverso Cis, cui possono partecipare anche i concessionari di servizi pubblici Anas, Ferrovie dello Stato, ecc.), sono destinate le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnate dal CIPE e individuati i tempi, le responsabilità e le modalità di attuazione degli interventi, prevedendo anche le condizioni di definanziamento degli stessi e l’attribuzione delle relative risorse ad altri livelli di governo.
Una delle principali priorità strategiche del Piano nazionale per il Sud riguardava la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali a rete, materiali e immateriali, destinati principalmente al sistema dei collegamenti dorsali e trasversali, con specifico riferimento al sistema ferroviario Alta Capacità/Alta Velocità, alle opere logistiche ed in particolare ai seguenti sistemi ferroviari e viari: Tra esse la realizzazione dell’Alta Capacità ferroviaria sulla linea Napoli – Bari – Lecce – Taranto.
Con delibere Cipe del 2011 (governo Berlusconi) e del 2012 furono individuati gli interventi e le risorse del Fondo sviluppo e coesione (FSC) da destinare anche in ambito universitario, del rischio
idrogeologico e della depurazione delle acque e bonifica dei siti contaminati.
Nel novembre 2015 fu il premier Matteo Renzi a presentare le linee guida di un Masterplan per il Sud che si sarebbe dovuto realizzare attraverso 16 patti territoriali :
15 con le Regioni (8) e le Città Metropolitane (7) ai quali si aggiunse il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) di Taranto. La somma destinata al Patto per la Puglia fu di 2miliardi 71 milioni di euro. In quel patto vi era (vi è) la realizzazione della Metropolitana di superficie Martina Franca-Lecce- Gagliano del Capo, per gestire l’elettrificazione e ottenere l’eliminazione dei passaggi a livello, con una dotazione finanziaria di 130 milioni di euro e una progettazione esecutiva già esistente. Si sa qual è la qualità del servizio e la velocità con la quale viaggiano i treni delle Ferrovie del Sud Est (società assorbita dalle Ferrovie dello Stato). Il Cis di Taranto mise a disposizione dell’area jonica 1 miliardo di euro circa. La somma più consistente era destinata alla realizzazione del nuovo ospedale San Cataldo di Taranto, con un investimento di 200 milioni di euro, circa già messi a disposizione con una delibera Cipe al tempo del Piano per il Sud di Silvio Berlusconi. Di quell’ospedale non si è ancora conclusa la procedura di appalto, nonostante Renzi decise di affidare all’Agenzia Invitalia l’attuazione degli interventi, per sburocratizzare i processi e superare le difficoltà di gestione emersi in sede locale.
Nel Piano di Renzi, come in quello di Berlusconi, si faceva riferimento all’Alta Capacità ferroviaria sulla Napoli-Bari-Taranto, con tempi di percorrenza tra i 2 capoluoghi regionali di 2 ore. Ecco cosa scrisse Matteo Renzi nel suo Masterplan: “Un cosa va detta con chiarezza: non sono le risorse che mancano. Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-20 e cofinanziamento già incluso nella dotazione finanziaria dei relativi programmi assommano a 51,8 miliardi di euro europei e 20,1 miliardi Nazionali. A questi si aggiungono risorse dei Programmi Complementari per 7,4 miliardi (da cui vanno detratti circa 940 milioni di euro, che alcune Amministrazioni Centrali e Regionali hanno destinato ai completamenti dei progetti inseriti nella programmazione dei fondi strutturali 2007-2013 ai sensi dell’art.1 comma 804 della Legge di stabilità 2016). A sua volta, il Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 può contare su 38,851 miliardi di euro. Nel complesso stiamo parlando quindi di circa 98 miliardi di euro a disposizione da qui al 2023 per politiche di sviluppo. E’ la capacità di utilizzarli che è mancata per decenni, come testimonia il ritardo accumulato fino al 2011 nella spesa dei Fondi europei e il fatto che a tutt’oggi il Fondo Sviluppo e Coesione abbia una disponibilità residua relativa ai cicli di programmazione 2000–2006 e 2007-2013 per circa 17 miliardi che, per inciso, porta la capacità di spesa sul territorio da qui al 2023 a 115 miliardi”. Dunque. 100 miliardi circa a disposizione del Sud per fare ciò che i precedenti governi non avevano fatto. I risultati non sono stati eccellenti. Ora siamo al Piano per il Sud 2030 del premier Conte e del ministro per il Sud Peppe Provenzano. Ci fosse stato Vendola alla guida della Regione avrebbe potuto fare nuovamente riferimento alle mucche di Mussolini.
Dopo 10 anni del nuovo Piano è scritto testualmente che tra le opere infrastrutturali prioritarie vi è la “Linea AV-AC Napoli-Bari (costo dell’opera 5.787 milioni di euro; è composta da otto interventi funzionali, di cui alcuni già affidati; le opere appaltabili entro il 2021 sono le seguenti: tratta Hirpinia-Orsara, galleria di valico, costo dell’opera 1.535 milioni di euro, gara pubblicata ad aprile del 2020ì e affidamento entro il 2020; tratta Orsara-Bovino, costo dell’opera 560 milioni di euro, gara pubblicata a marzo del 2020 e affidamento entro il 2020)”.
A seguire si legge: “Occorre, poi, riprendere il “discorso interrotto” del CIS Taranto, nell’ambito del
quale sono già stati delineati i tratti fondamentali (urbanistici, culturali e produttivi) della Taranto del futuro: più di un miliardo di euro di interventi già finanziati e in larghissima parte ancora da realizzare nel Capoluogo e nel territorio provinciale, di cui circa 550 milioni di euro finanziati con il Fondo Sviluppo e Coesione”. Insomma nei 123 miliardi del Piano Sud ci sono anche i soldi del Cis Taranto
non ancora spesi (il 55 per cento circa del miliardo assegnato) e altri regali riciclati che tanti governi hanno donato al Sud, alla Puglia e a Taranto negli ultimi anni. Il Contratto istituzionale di sviluppo per l’area di Taranto fu una scelta di Renzi, il quale mise in campo uno strumento per far vedere che mentre la magistratura bloccava l’Ilva (con il sequestro dell’area a caldo), il governo si preoccupava di dare soluzione a molti problemi irrisolti di Taranto. Con il Cis di Renzi non siamo alle mucche di Mussolini, ma qualche agnellino è stato rimesso in circolo.
Il pensiero va al nuovo ospedale, già finanziato con delibera Cipe del 2011 e ad alcune opere portuali e di recupero urbano. Anche “le ulteriori linee di intervento (che saranno oggetto di appositi finanziamenti per tutto il ciclo 2021-2027) contenute nel Piano Conte/Provenzano, ci rimandano a decisioni del passato già annunciate ma non trasformate in atti di governo, nonostante l’esigenza di operare in fretta, secondo quanto previsto da un decreto legge contenente “Norme urgenti per il rilancio del Mezzogiorno” e approvato definitivamente dal Parlamento nell’agosto del 2017, più di 2 anni e mezzo fa. Molte indicazioni contenute nel decreto urgente sono rimaste sulla carta. E sono state riproposte con il nuovo Piano Sud 2030.
È il caso di citare alcune linee di intervento annunciate il 14 febbraio: 1) nomina dei Commissari Straordinari e istituzione degli Uffici dei Commissari, a supporto delle attività dei Commissari stessi e del Comitato Direttivo di ogni Zes; 2) finanziamento delle infrastrutture c.d. “ultimo miglio” all’interno delle aree ZES, con l’adeguamento e il potenziamento degli assi viari e ferroviari di connessione con le aree industriali, i porti, gli interporti e retroporti, per il necessario sviluppo del traffico merci; 3) elaborazione di “Protocolli energetici” per ridurre il costo dell’energia per le imprese operanti nelle ZES; 4) sviluppo di sinergie con l’Agenzia delle Entrate, per la migliore applicazione degli incentivi fiscali (in particolare al settore della logistica) e il coordinamento delle diverse misure di intervento fiscale a livello locale e nazionale; 5) indicazione alle Autorità di Sistema Portuali che rientrano nelle ZES di istituire le Zone Franche Doganali (ZFD); 6) l’istituzione dei presidi di legalità nelle aree
ZES già previsti a livello normativo e regolamentare, anche attraverso specifiche dotazioni tecnologiche.
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