Passioni

Il paese dove nessuno è straniero

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«Questo è un luogo di pace e di umanità», dice il sindaco del paesino di 1004 abitanti situato a 842 metri sul livello del mare. Dove gli imprenditori assumono gli immigrati, i volontari dello Sprar puliscono le strade di notte, i bambini giocano ancora per strada

VI SONO ECCELLENZE IN PUGLIA che nulla hanno a che fare con arte, cultura, impresa, turismo, ma che tutte queste riassumono e spiegano. Sono le eccellenze dell’anima. Spesso se ne stanno celate, schive. Monteleone di Puglia è fra queste e va raccontata.
Avevo sottovalutato l’invito ad una presentazione estiva del mio romanzo giunta da uno sperduto comune fra monti della Daunia che non conoscevo. Ammetto, l’avevo accettata come una occasione per fuggire con la mia Francesca dalla canicola d’agosto di Bari. È stata ben altro, un’inattesa epifania di speranza.
Un viaggio interminabile nella Puglia profonda fra tornanti, panorami mozzafiato, strade sconnesse e pale eoliche a rammentarci d’essere nel XXI secolo. Monteleone di Puglia, 1004 abitanti, 826 metri sul livello del mare, affacciato su una valle che introduce alla sorella Campania, ci accoglie in modo inusuale: “Attenzione rallentare!” dice un cartello stradale multicolore. “In questo paese i bambini giocano ancora per strada!”. Non mentiva.
Immaginavamo un borgo che assiste mesto al suo declino, popolato da anziani, fuggito dai giovani alla ricerca altrove d’un futuro e, invece, ci ritroviamo in un luogo vivace, lindo, dalle antiche case ben tenute, gioventù sorridente e bambini a giocare per strada come il cartello prometteva.
Ci accoglie il sindaco, Giovanni Campese: sessant’anni avanzati, persona semplice, direi modesta, di quella semplicità e modestia rara negli amministratori d’oggidì. Ci accompagna con orgoglio discreto per viuzze e piazze costellate di inusuali murales multicolori. Gliene chiedo la ragione, indicandone uno con il volto sorridente e le parole di Malala.
“Questo è un luogo di pace e di umanità”, mi risponde il schivo.

SPRAR È L’ORRIBILE ACRONIMO che significa ‘Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati’. Spesso sono luoghi orribili. Qui è tutt’altra storia: ne hanno realizzati ben due.
Entriamo nel primo: 25 ospiti, ampi spazi comuni lindi e ordinati, una grande cucina per tutti; ogni famiglia ha il suo frigorifero e il suo appartamento. Due bambini ci accolgono festanti, una mamma dal sorriso d’avorio che risalta sull’ebano della pelle ci accompagna, è orgogliosa. Mentre gli uomini sono al lavoro le donne frequentano laboratori di cucina, cucito o simili attività che danno loro fiducia nell’avvenire.
Ma è il secondo centro di accoglienza a stupirci. È per minori senza famiglie: 16 ragazzi approdati su queste colline dopo un inimmaginabile viaggio di paura: paura del presente da cui fuggivano, paura del futuro ignoto. Qui hanno trovato speranza.
A Monteleone non si limitano a dar loro rifugio. Il Comune organizza corsi d’italiano intensivo, laboratori d’inglese e informatica e, udite udite, di educazione civica! Pensate un po’, questi pazzi vogliono farne degli onesti cittadini! E magari ci riescono pure!
Col pulmino li accompagnano ogni mattina a scuola, nella vicina Ariano Irpino, e così fino alla terza media. Poi li avviano al lavoro. Poche e piccole le imprese del luogo, non si tirano indietro.
A breve, d’intesa con la Regione Puglia, sarà avviato un terzo centro per ragazze minorenni senza famiglia. Stesso trattamento d’inserimento nella comunità italiana, salvandole così dal destino certo di prostituzione su strade e marciapiedi: un destino di violenza, sfruttamento, orrore.
Non basta! Vi è un centro per anziani che ospita una ventina di persone. Non sono lì rassegnati in attesa della morte. Anch’essi parte attiva della Comunità, sì proprio con la C maiuscola!, interagiscono con i centri di accoglienza: i corsi di cucina si fanno lì da loro, diventano i nonni di inattesi nipoti il cui colore della pelle non ha importanza!
Con la mente ancora piena di meraviglia, segue la mia presentazione che cito solo per un dettaglio: il Comune ha acquistato trenta copie del romanzo da distribuire gratuitamente ai partecipanti! Per il sindaco è cosa ovvia: la libreria più vicina è a quaranta chilometri di tornanti! Le copie vanno via tutte, passeranno di mano in mano nel lungo inverno di neve e gelo.
Lasciamo il Chiostro del Municipio e incrociamo Ebrima, che qui tutti chia- mano Ibra. Pelle d’ebano, viene dal Gambia, 19 anni, in Italia da tre, per sei mesi nello sprar di Salerno, poi qui a Monteleone. Ha fretta, deve andare a lavorare, ma il sindaco lo ferma e ci presenta. Gli sorrido e lui mi sorride. Non mi stringe la mano, batte il cinque!
Parla un discreto italiano e un inglese perfetto. Gli faccio un po’ di domande sul suo passato, ma lui glissa, è del presente e del futuro che vuol parlare. Presente e futuro che sono qui, a Monteleone di Puglia! “Questa è casa mia” dice “di qui non me ne vado, sto bene!”

Mi chiedo come sia possibile che un ragazzo fuggito dall’Africa equatoriale decida di vivere in un paese di mille anime, sperduto sui monti, che fa -15° d’inverno. Inutile interrogarsi, la risposta me l’ha già data lui. Batti il cinque, fratello, e vai con Dio!

A Monteleone non si limitano a dare rifugio. Il Comune organizza corsi d’italiano, laboratori d’inglese, informatica e, udite udite, educazione civica. Questi pazzi vogliono farne degli onesti cittadini!

Raffaello Mastrolonardo

“MA COME CI SIETE RIUSCITI?” chiedo stupefatto al sindaco. Quasi si ritrae e replica schivo che per una piccola comunità è più facile che nei grandi centri. “E poi qui il sentimento di accoglienza ce l’abbiamo nel sangue!” incalza con orgoglio e racconta.
La storia di Monteleone di Puglia affonda le radici nello spirito di tolleranza e libertà: nell’XI secolo Ruggiero I il Normanno raduna le città libere e i suoi baroni in un bosco poco distante e detta, nel buio Medioevo, le prime leggi uguali per tutti i sudditi del regno, qualunque ne fosse fede e colore della pelle. Nel Duecento dà rifugio ai catari fuggiti dal sud della Francia alle persecuzioni religiose; nei secoli a seguire ospiterà le comunità valdesi anch’esse raminghe e perseguitate dalla Chiesa di Roma.
Il sindaco mi mostra con orgoglio un altro murales che occupa un’intera facciata. È dono della pittrice argentina Hyuro: ricorda la prima rivolta antifascista del Sud Italia. Le donne del paese, le leonesse di Monteleone, nel ’42 si sollevarono all’oppressore fascista e lo scacciarono. Poi il prefetto di Foggia, Dolphin, futuro segretario di Mussolini nella Repubblica di Salò, tornò con i rinforzi e tutto finì nel sangue e nelle carceri. Ma per alcuni giorni Monteleone era stata nuovamente libera.
“Abbiamo realizzato anche un libro a fumetti che racconta questa storia, per i ragazzi è più semplice…”
Poi si ferma un attimo pensieroso, dalla tasca estrae un mazzo di chiavi, ferma un giovane passante e gli dice: “Vai al Municipio, questa è la chiave della mia stanza e questa della scrivania, portami i libri che ci trovi. Ma ricordati poi di chiudere!”
Il passante non batte ciglio e va! Io e Francesca ci guardiamo stupefatti: ma ve l’immaginate un qualunque altro politico locale che affida le chiavi della sua scrivania ad un passante?

È SERA, L’INTERO PAESE si è riversato nelle strade per una di quelle sagre che allietano le notti d’estate dei nostri comuni. Vedo gente felice, bianchi e neri insieme in un unico afflato di fratellanza che cancella ogni differenza di pelle e di fede e alimenta la speranza nel futuro, in tutti. Mi guardo attorno incredulo.
Mi viene presentato un imprenditore che dà lavoro agli immigrati. “Sono grandi faticatori” dice, “mettono orgoglio in quello che fanno”. Per ripagarli ha organizzato collegamenti Skype con l’Africa. “Così stanno in contatto con le loro famiglie laggiù” aggiunge. Non riesco a trattenermi, lo abbraccio: “Grazie”, gli dico! “E perché?” chiede lui smarrito, “Mi pare ‘na cosa normale…”. Ci raggiunge Pasqualino. Lavora nella cooperativa che cura pulizia e raccolta rifiuti del paese.
“Tutt’apposto sindaco, la squadra è pronta!” Guardo interrogativo il padrone di casa che mi sorride.
“Vedi, la festa finirà tardi fra piatti di plastica, bicchieri e rifiuti. Domani è domenica, non possiamo tenere il paese sporco. Così Pasqualino ha chiesto quattro volontari allo Sprar, volontari perché la domenica è riposo per tutti, sia chiaro! Si sono offerti un egiziano, un eritreo, un libico e un altro extracomunitario. Attaccano alle sei e mezzo, alle dieci il paese sarà lindo!”
Poi si rivolge nuovamente a Pasqualino: “E mi raccomando la colazione domani mattina che la offro io!”

È NOTTE, IO E FRANCESCA siamo ad una panchina della villa comunale affacciata sulla valle. Fumo il mio to- scano. Sono sereno. “Hai visto che avevo ragione io a dirti di non arrenderti?” mi dice con gli occhi dell’amore. Qualche sera prima avevamo litigato. All’ennesima notizia d’un approdo negato, avevo reagito con la rassegnazione per il mio Paese e la sua gente che non riconoscevo più, ormai ubriaca di rancore e d’odio.
Mi sorride e indica qualcosa. Guardo nella penombra, il volto mi si riga di lacrime: una bambina del luogo, forse dieci anni, grassottella e impacciata, gioiosa spinge un’altalena sulla quale siede un bambinetto nero. Ridono, sono felici. Con la vista offuscata, alzo lo sguardo alla tersa volta cele- ste per ringraziare il mio Dio Senza Nome d’un inatteso dono di speranza. È la notte di San Lorenzo, mi sovviene Kant: “Il cielo stellato sopra di me, la Legge Morale dentro di me”. Ecco, qui ce l’hanno fatta. Grazie Monteleone, eccellenza di Puglia!

È la notte di San Lorenzo, mi sovviene Kant: “Il cielo stellato sopra di me, la Legge Morale dentro di me”. Ecco, qui ce l’hanno fatta.

Raffaello Mastrolonardo

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