Editoriali

I mali del Turismo che dobbiamo estirpare

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In Puglia c’è ancora troppo nero nel turismo, troppa improvvisazione, troppa rapacità cui le amministrazioni pubbliche fanno fatica ad opporre un controllo profondo e puntiglioso

Silvio Maselli

Ho trascorso alcuni giorni di vacanza in bicicletta nei Paesi Bassi (meravigliosi) e, tornato in Puglia, una settimana nel Salento dove, per la prima volta in modo così netto, ho percepito l’incombere del disastro ambientale e la devastazione del turismo di massa sui nostri già fragili ecosistemi.
La costa del Capo di Leuca, un tempo solcata da rare barche a vela e da barchette di turisti locali, viene oggi attraversata da continui battelli che non si limitano a scaricare i turisti ciarlieri e irrispettosi dinanzi alle grotte, ma vi entrano – barca e tutto – incuranti di ogni minima misura di sicurezza e rispetto per i bagnanti e per le fragili millenarie costiere a strapiombo.
Business is business e poco importa se si mangi quasi ovunque malissimo, se i centri storici siano affollati come un concerto rock e se ormai anche il più piccolo dei comuni attrezzi improbabili eventi che attirano migliaia di turisti irresponsabili.
Appare chiaro come siano numerose le famiglie che hanno riconvertito l’economia domestica orientandola verso il turismo massificato, privi di qualsivoglia formazione specifica e di una vera vocazione per l’accoglienza. Scarsissima conoscenza delle lingue straniere, prezzi impazziti, sporcizia diffusa, endemica assenza di indicazioni turistiche
e di direzione stradale, debolezza di sistemi di informazione e accoglienza parlano di mancanze della Politica e di stolido desiderio di arricchimento tanto veloce quanto effimero da parte degli operatori turistici non professionali.
Perché è questo il tema: in Puglia c’è ancora troppo nero nel turismo, troppa improvvisazione, troppa rapacità cui le amministrazioni pubbliche – depauperate da anni di mancati trasferimenti dal centro verso la periferia – fanno fatica a opporre un controllo profondo e puntiglioso, a tutela di ignari turisti attratti dalle paillettes di Belen e incapaci di comprendere che il morso della tarantola è una visione del mondo, prima ancora che ancestrale bisogno di danzare in compagnia.

Il punto è cosa vogliamo fare della nostra Puglia turistica (e dell’intera Italia). Tranne rare e pregevoli eccezioni prevalentemente collocate in Valle d’Itria e sulla sua costa, io oggi vedo un turismo mediocre, attratto dalle luci e incapace di leggere i chiaroscuri.
E infatti il calo registrato in alcune zone turistiche a basso reddito come la Gallipoli degli anni d’oro, devastata come una Ibiza “de noantri”, lo conferma.
Ma cosa ancora più grave, questo sviluppo sregolato non produce impatti reali e duraturi.
La polemica di Flavio Briatore disgustò molti per i modi discutibili, ma non fu mai realmente colta la sua portata critica.
Non fummo inclini all’autocritica. La Puglia che abbiamo sempre sognato e per la quale abbiamo a lungo lavorato, deve porsi sul segmento alto del turismo di qualità. Ciò non vuol dire che va negato l’accesso al mare e ai prodotti turistici alle persone più umili: penso esattamente il contrario.
E infatti a Bari abbiamo realizzato un lungomare pubblico e bellissimo, nel quartiere di San Girolamo, dove chiunque a costo zero, senza pagare i servizi di un lido, può fare un bel bagno.
L’attuale modello prevalente, invece, segrega il turismo povero in immondezzai insalubri o barconi rumorosi e insicuri; mentre garantisce la privacy e il vero relax in masserie di charme da 600 euro a notte.
In mezzo trovi prevalentemente case vacanze a nero.
La ricetta va dunque attrezzata dagli enti pubblici locali – di concerto con la Regione che ne ha competenza e risorse – a base di formazione professionale e aggiornamento per gli addetti, miglioramento delle condizioni igieniche e di nettezza urbana e gestione dei rifiuti, controlli profondi sulle strutture ricettive accreditate e su quelle della “sharing economy”, riequilibrio delle risorse regionali dalla promozione (che fin qui è stata ottima, ma rischia di essere poi controproducente se i livelli di accoglienza sono pessimi o nulli e si ribaltano nel loro contrario con i feedback negativi dei social media), contingentamento dei prodotti turistici quando rischiano di generare “overtourism” come nel caso delle grotte del Capo di Leuca.
Non possiamo permetterci, infatti, impatti ambientali ulteriori e le lezioni che la natura ci dà sono sempre poco capite, come nel caso di Lama Monachile a Polignano, dove le autorità hanno dovuto inibire l’accesso a metà spiaggia a causa dei sopravvenuti crolli della costiera di falesia.
Il turismo di massa (quello delle crociere, dei grandi eventi, dei festival) ha senso nei capoluoghi (e in questa direzione abbiamo lavorato a Bari con risultati straordinari) e in luoghi che ne custodiscano una reale tradizione che non tradisca però la propria stessa natura.
Viva la Puglia che non si svende!

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