Personaggi

GIUSEPPE SATRIANO – compagno di viaggio, mendicante di luce

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L’esperienza in Kenya, la scoperta di Dio, le ragioni della fede, le debolezze umane che si insinuano in Vaticano… Il successore di Cacucci si presenta alla nuova diocesi

Che effetto fa tornare a casa, intesa come Puglia ovviamente?

Durante i tre anni trascorsi in Kenya ho imparato che, quan- do il cuore è in pace con se stesso, ogni posto è casa. Ritengo che per un sacerdote, un vescovo, parlare di casa è fare riferimento alla Chiesa. Pertanto se casa è stata la Chiesa di Rossano-Cariati, casa è la Chiesa di Bari-Bitonto. Certamente mi fa piacere tornare in Puglia e in una Comunità ecclesiale dalla storia luminosa, grazie alla presenza di pastori che l’hanno amata e di un popolo fervente nella fede.

Bari è una città importante per la Chiesa Cattolica (e non solo) e per l’eredità lasciata dal suo predecessore. Come ha accolto la nomina?

Se devo essere sincero, mi sono sentito destabilizzato e onorato. Ero proteso a lavorare in terra di Calabria e non immaginavo minimamente tutto questo. Certamente Bari e l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto sono due realtà di forte portata, che lascerebbero senza parole chiunque. Vado rielaborando il tutto con tanta fiducia nel Signore, confortato dal bel saluto che Monsignor Cacucci mi ha riservato il giorno dell’annuncio. Sua Eccellenza è persona che ho sempre stimato per lo stile sobrio e per la sua alta cultura. Di lui conservo il bel ricordo di docente di Mezzi della Comunicazione Sociale, ai tempi del Seminario Maggiore, e della sua filiale vicinanza all’amato Arcivescovo Mariano Magrassi, suo predecessore. Il suo impegno, più che ventennale, ha fatto crescere la Comunità diocesana, collaborando al rilancio della stessa città.

Chi è don Giuseppe Satriano?

Credo di averlo detto nel saluto alla Chiesa di Bari-Bitonto: semplicemente un compagno di viaggio, un pellegrino, un mendicante di luce. In altre parole un sacerdote, un vescovo che sa di dover imparare dalla realtà in cui è chiamato a vivere.

Quando ha scoperto Dio?

In famiglia, dalla testimonianza del mio papà medico, anestesista e rianimatore, innamorato del suo lavoro e che, pur non vivendo frequentemente la pratica religiosa, dinanzi alla guarigione di un malato, attribuiva sempre il merito a Dio. Altro spazio in cui ho scoperto Dio è stato quello della preghiera, dei gesti religiosi della mia mamma, donna radicata in una fede semplice e forte.

Dove lo ha cercato? Dove lo ha trovato?

Inizialmente nella riflessione e nella preghiera personale, poi attraverso le comunità parrocchiali nelle quali sono cresciuto, ma soprattutto nei sofferenti e nei poveri. Determinanti sono state l’esperienza presso il Cottolengo, da giovane seminarista; quella presso “La Nostra Famiglia”, con i bambini disabili e le loro realtà familiari durante il sacerdozio; quindi l’esperienza vissuta come parroco nel nord del Kenya, in un ambiente semi desertico, spesso attraversato dal problema della fame, ma dove ho trovato una grande testimonianza di fede e di gioia proprio nei poveri.

Ha ancora senso essere fedeli ad un culto oggi? E perché?

Credo che il culto, inteso nella sua valenza più alta, sia nient’altro che la risposta del credente al tocco di Dio. Non può esserci culto, pratica religiosa se non c’è abbandono nella fede, se non ci si sente toccati dall’amore di Dio. Il culto è la risposta dell’umano alla percezione di un respiro che dilata la vita, trasfigurandola e aprendola a quell’oltre in cui s’impara ad incontrare l’altro, il fratello, e l’Altro, Dio sorgente di vita. Certamente oggi la fede è in crisi, attraversiamo un tempo difficile, come in tutte le stagioni storiche in cui la ricerca narcisistica di un benessere, fine a se stesso, ha relativizzato l’umano, consegnandolo alla logica del qui ed ora, del tutto e subito. Viviamo tempi di grande fatica, dove gli adulti sono inconsistenti, fragili, troppo preoccupati di se stessi, immersi in una certa forma di adolescenza ritardata, definita da molti adultescenza. Questo sta portando alla mancanza di radici profonde e all’impoverimento della trasmissione della fede. La carenza di testimonianza del mondo adulto, presso le giovani generazioni, ha la conseguente trasformazione della fede in religiosità, spesso sterile e folcloristica.

Che effetto le fanno le notizie di cronaca sulle lotte intestine in Vaticano e sulle ultime inchieste?

Ognuno può interpretare i fatti di cronaca come meglio crede. Personalmente ritengo che quanto i giornali denunciano e quanto emerge dalle inchieste, a cui fa riferimento, altro non sia che quell’umano che ha perso il respiro di Dio. Questo è possibile fuori e dentro la Chiesa. Nessun credente, laico o sacerdote, vescovo o cardinale, religioso o religiosa, è garantito dalla scelta vocazionale operata nella sua vita. L’appartenenza alla Chiesa non è un salvacondotto per il paradiso, bensì l’assunzione di responsabilità nel nutrire, con l’apertura al mistero di Dio e in uno spirito di servizio, percorsi esistenziali di riconciliazione, di carità, di ricerca del bello e del buono, dove l’umano si possa ritrovare arricchito dalla grazia dell’incontro con Dio. Chi pensa di poter realizzare la propria vita lontano da questo orizzonte, assumendo logiche di potere di qualsiasi tipo, non è nella Chiesa e ne intacca la sua consistenza evangelica. Papa Francesco non porta avanti lotte intestine ma persegue, con evangelica chiarezza, la necessità di trasparenza, di coerenza alle scelte indicate da Cristo.

Quali saranno le sue prime azioni non appena arriverà a Bari?

Bella domanda, non saprei! In avvio credo che ascoltare e cercare di comprendere la realtà, mi terranno molto occupato. In seguito sarà importante mettersi accanto e accompagnare i vissuti, per quanto ne sia capace. Il resto verrà da sé.

Che notizie ha raccolto sulla sua nuova città e diocesi?

Credo non ci sia bisogno di indagini particolari. La Chiesa di Bari-Bitonto, e la stessa città capoluogo, s’impongono da sé stesse. Avverto Bari una città, un territorio, in crescita, mentre la Chiesa locale è ricca di presenze significative, una realtà autorevole, non solo sul piano ecclesiale ma anche sociale. Il mare, che accarezza e dona significato al territorio da millenni, evoca spazi d’incontro, relazioni da vivere, ospitalità da realizzare. Come affermava il Papa, nell’ultimo incontro tenuto a Bari, esso è un “epicentro di profonde linee di rottura e di conflitti economici, religiosi, confessionali e politici” dove “siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace”.

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