CITTÀ

La seconda “vita” dell’ex Manifattura dei Tabacchi

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Ex Manifattura dei Tabacchi, situato ad ovest del Murattiano, è l’edificio monumentale che aveva un impianto all’avanguardia per il trattamento del tabacco. È abbandonato dagli anni ’80

La vocazione di Capitale del Sud Bari l’ha sempre avuta. A riprova di questo anelito non a caso perorato resta, nella storia di fine ottocento, la scelta – da parte dei Monopoli di Stato – di destinare al capoluogo pugliese uno degli impianti allora all’avanguardia per il trattamento del tabacco.

ex manifattura tabacchi

Complice la grande diffusione che ebbe, in quell’epoca, il consumo di sigarette ma, soprattutto, la realizzazione, nel 1880, di una macchina capace di garantirne la produzione di grandi quantità a prezzi bassissimi. L’uso della sigaretta diventa abitudine, meglio ancora vizio, delle grandi masse e lo Stato fa sua la produzione costruendo impianti industriali gestiti dai monopoli.

La Manifattura dei Tabacchi a Bari

Quello di Bari fu inaugurato nel 1913 (progetto di Vittorio Emanuele Aliprandi del 1902), un monumentale edificio costruito ad ovest del Murattiano, nel centro cittadino, che si colloca prepotente nel contesto del paesaggio urbano barese, quasi a sfidare il palazzo dell’Ateneo con la sua alta ciminiera in asse con via Garruba. L’architettura della Manifattura è organizzata in base alle regole di composizione architettonica, in ossequio alle prescrizioni di simmetria ed equivalenza imposte dallo stile neoclassico.

Ma è negli anni negli anni Cinquanta e Sessanta che la sigaretta trova il suo “lancio” definitivo: grande pubblicità le viene tributata non solo nei Caroselli e per le strade. Sull’onda delle tendenze culturali dell’epoca, cinema e letteratura sdoganano definitivamente la sigaretta. Il dopo guerra e la ricostruzione impongono scelte culturali orientate ad una rappresentazione “realistica” della società: attori, giornalisti, politici erano avvezzi presentarsi con una paglietta in mano, non solo nelle scene per il grande schermo, ma anche negli studi televisivi, nelle assise pubbliche ed in ogni dove.

ex manifattura tabacchi

L’impianto barese non fu da meno e portò a pieno regime l’attività. Al suo interno si svilupparono esperimenti gestionali innovativi ma anche becere forme di sfruttamento delle maestranze, composte maggioritariamente da donne. Accanto alla pregevole realizzazione di un asilo e di sempre più razionali strutture operative, infatti, percorsi interni obbligati, orari pressanti, vessazioni psicologiche, se non anche fisiche, e non ultima l’aria estremamente secca, riempiono le cronache dell’epoca e le dicerie di quartiere. Altrettanto trascurate furono le più elementari norme di tutela della salute: l’uso di protezioni per la pelle e per le vie aeree era ritenuto un inutile aggravio di costi e la necessità di lavoro metteva in subordine qualsiasi forma di rivendicazione.

Nonostante la sua bellezza e la sua maestosità, fattori che certamente ne rendevano difficile l’ammodernamento, l’impianto industriale fu abbandonato intorno agli anni ’80 a favore di strutture più aderenti alle mutate necessità produttive, legate alle nuove esigenze di mercato.

La nuova sede

La nuova sede trovò spazio nella zona industriale di Bari, una locazione moderna, dove furono trasferiti gli impianti di trattamento del tabacco e la produzione di sigarette. Ed è proprio di questo enorme complesso industriale che vi vogliamo parlare, un gigantesco “sfascione” che nulla ha del fascino della sede originaria, ma che oggi torna alla ribalta.

ex manifattura tabacchi

Un’enorme installazione industriale

Quella che abbiamo fotografato, è un’enorme installazione industriale che consta di decine di migliaia di metri quadrati, molto poco seducenti dal punto di vista estetico ma molto razionalmente disposti per massimizzare la produzione. Di grande interesse il terminale ferroviario, nella parte posteriore dell’impianto, che garantiva un trasporto privilegiato e veloce della materia prima: il tabacco. Forte di ben cinque linee rotabili, i vagoni venivano fagocitati all’interno dell’immenso complesso di capannoni dove avveniva il primo stoccaggio. Il serpentone di metallo delle rotaie si allungava per 150 metri nelle viscere di un magazzino di quasi 40.000 metri quadrati, uno dei luoghi più bui che abbiamo mai visitato. Esplorando le undici campate dell’immenso capannone abbiamo trovato la completa assenza di luce naturale dovuta alla totale mancanza di pozzi luce. L’oscuramento si rendeva necessario per non deteriorare le foglie di tabacco, che in presenza del sole avrebbero continuato l’eterno rito della fotosintesi.

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Ambienti diversificati garantivano stoccaggi differenziati a seconda della qualità e tipologia del tabacco. Dopo l’essiccatura e l’asciugatura, le foglie passavano alla trinciatura, dove venivano ridotte alle dimensioni prefissate ed inviate ai macchinari in rotativa. Solo allora il tabacco prendeva la tipica forma a cilindro, pressato a dovere e poi ricoperto della carta a cui si aggiungeva il filtro in cellulosa. Un processo produttivo che si sviluppava in edifici, posti davanti ai magazzini, per un’estensione di ulteriori 20.000 metri quadrati di cemento per sfociare, in definitiva, nella linea di impacchettamento finale.

Quel che resta

Qualcosa di più rimane, nel vuoto dell’abbandono totale, dei locali adibiti a laboratorio ma anche qui abbiamo dovuto lavorare non poco di fantasia. Gli ambienti hanno ben poco del laboratorio alchemico di una fabbrica di inizio secolo. Resta a riprova qualche boccetta ancora piena di inquietante liquido porpora, alcune provette sbeccate e qualche cartello che invita a cautele oramai non più necessarie. Era qui, ad ogni buon conto, che con formule che più che coll’alchemico dovevano avere a che fare col pragmatico marketing, veniva deciso il gusto finale delle sigarette. In queste stanze venivano stabiliti quali “additivi” aggiungere al tabacco, in modo da  creare il sapore inconfondibile per ciascuna tipologia di marca.

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La nostra esplorazione termina, in senso contrario, con gli uffici e il salone di ingresso, dove resistono ancora alcuni arredi e impianti appena riconoscibili come tali. Stanze per uffici amministrativi, rimesse, alloggi non tutti chiaramente decifrabili come destinazione d’uso e, ovviamente, pieni di mobilia distrutta, spazzatura, materiali di risulta, indumenti, scarpe, materassi. Ambienti stimolanti dal punto di vista fotografico per il consueto gioco prospettico delle architetture ma poco significativi per una valutazione di come la struttura fosse organizzata.

Ci allontaniamo salutati dalla foto che campeggia su di una parete nella palazzina degli uffici. Ritrae un operaio intento ad un macchinario per la produzione di sigarette. Mai come in questa esplorazione, abbiamo dovuto fare ricorso alla nostra fervida immaginazione per decifrare luoghi, storie, strutture. Nella quasi totale assenza di riferimenti, tuttavia, questa foto ci fornisce un salvifico contributo.

Una riflessione

Adesso almeno, siamo certi di essere stati davvero nella ex Manifattura dei Tabacchi di Bari e impone una riflessione, lungi da polemiche pretestuose, ma doverosa per l’intelligenza della storia. Perché abbandonare un così grande impianto industriale? Perché lo Stato sceglie di “uscire” dal mercato del tabacco? Quale danno ne è derivato in termini occupazionali? L’immensità degli spazi appena visitati, fa presuppore che le maestranze intorno al mondo del tabacco dovevano essere migliaia. Non riusciamo proprio a comprendere come la “maestosa” Manifattura abbia ceduto le sue mura all’abbandono. Ed è proprio dai media che apprendiamo che non tantissimi anni fa nel Bel Paese venivano prodotte il 95% delle sigarette vendute in tabaccheria, oggi non si raggiunge il 2%. In questi anni la politica ha venduto questo indotto alle multinazionali straniere, che hanno poi chiuso le fabbriche, licenziato gli operai e spostato la produzione in altri paesi dell’Unione Europea. E per i produttori rimasti in Italia si paventa l’assurdo: un sistema di tassazione che costringe questi ultimi a lasciare “le bionde” stoccate nei magazzini: più vendono e più pagano tasse. Questo è lo Stato che spreca il proprio patrimonio immobiliare votandolo all’oblio, finendo col “fagocitare” anche i propri figli.

ex manifattura tabacchi

Testo e Fotografie di OBIETTIVO UNO

 

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