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“Che bel mestiere far la barbiera. Di qualità”

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Assomiglia a Amy Winehouse ma si ispira a Lady Gaga: “Coltiva il tuo lavoro, perché lui non si alzerà mai una mattina dicendo che non ti ama più”. Doriana Borgo ha scelto di fare un lavoro da uomini a Martina Franca. Qui racconta le difficoltà iniziali, la diffidenza, i consigli di suo padre, la testardaggine nel voler tornare da Londra e aprire un barbershop nel paese natale. Le sue parole sono taglienti come un rasoio. Ed hanno qualcosa da insegnare. Alle donne e agli uomini

Doriana Borgo ha portato una nuova visione del concetto di barbiere in Valle d’Itria. Nel suo salone di Martina Franca ha sdoganato il concetto di barbiera innovando una delle professioni più tradizionali con stile e coraggio.

Come ti sei ritrovata in questa professione cosí maschile?
Ho iniziato a 17 anni, facendo shampoo 62 e pulendo il salone. Un inizio classico da barbiere anni ’50. Andavo a scuola e cercavo un lavoretto pomeridiano. Ho chiesto informazioni ai miei amici, tutti maschi e più grandi di me e uno di loro, per scherzo, mi ha detto: “Il mio barbiere cerca un ragazzo, perché non ci vai tu?”, scatenando le risate di tutti. Io sono tornata a casa e per tutta la sera ho continuato a pensarci, fin quando il giorno dopo ho deciso di provarci. Appena entrata nella sala da barba si sono girati tutti i clienti, io ho detto al titolare “Mi hanno detto che cerchi un ragazzo” e lui “Si”, al che io ho risposto “Ci sono io”. Lui è rimasto perplesso, ma mi ha presa anche se non sapevo fare niente.

È stato più difficile vincere la diffidenza allora o quando hai aperto il tuo salone?
È stato sempre difficile vincere la diffidenza ma soprattutto all’inizio, quando facevo “il” garzone, questo mio interesse non era ben visto. Era il 2001 non il dopoguerra, ma una donna barbiere era troppo inusuale in un paese del Sud. Anche adesso si fa difficoltà ad accettarmi ma ormai sono abituata. Dopo quella prima esperienza ho cercato lavoro presso altri saloni ma per molti barbieri non era proprio fattibile avere una ragazza a lavorare perché la figura del barbiere è troppo legata all’immagine dell’uomo. Nel frattempo io ero ormai presa da questa passione, ho fatto corsi professionali, preso attestati e continuato a lavorare come parrucchiere per donna, ma l’idea di aprire un salone da barba tutto mio non mi ha mai abbandonata, fino a concretizzarsi nel 2012.

“All’inizio mi dicevano che ero pazza ad investire in questo settore, soprattutto mio padre. Lui è stato il primo a dirmi che questa non era una cosa fattibile. Secondo lui la gente non era pronta ad accettare una barbiera. Aveva ragione, non erano pronti. Ma qualcuno doveva pur iniziare”

Doriana Borgo

Quindi la diffidenza permane?
In maniera minore. Quando ho aperto il salone chi entrava era molto disorientato, sia i clienti che le loro fidanzate, mi chiedevano “Ah, ma quindi la barba la fai tu?”

Pensi che fossero gelose?
No, quelle gelose continuano a non far venire i loro uomini, però capisco che fosse una cosa abbastanza strana, infatti all’inizio mi dicevano tutti che ero pazza a investire in questo settore, soprattutto mio padre. Lui è stato il primo a dirmi che questa non era una cosa fattibile, mi diceva “Chi mai verrà da te a farsi la barba?”. Secondo lui la gente non era pronta ad accettare il concetto di una barbiera. Tutto vero, non erano pronti, ma qualcuno doveva pur iniziare.

Tuo padre però aveva già digerito il fatto che lavorassi come apprendista barbiere.
Lui è stato sempre la mia “parte esterna”, una sorta di grillo parlante per me. Io sono molto convinta delle mie decisioni e vado per la mia strada senza ripensamenti, lui invece rappresenta la coscienza, i freni. Mi diceva che c’era la crisi, che qui a Martina
la maggior parte delle imprese tessili stava chiudendo o spostando la produzione all’estero e senza le confezioni la gente aveva ripreso ad emigrare. Io ero tornata da Londra un paio di anni prima e volevo fare il percorso inverso: aprire un salone da barba, gestito da una donna, al Sud, nel momento in cui tutti chiudevano. Una pazza in effetti.

Come ti è venuta l’idea?
È nata fra Londra e Roma. Dopo aver vissuto brevemente in Inghilterra sono andata a trovare mio fratello a Roma e Trastevere era in piena moda hipster che qui ancora non esisteva. C’erano tanti uomini in giro con la barba lunga, curata e dal taglio stravagante. Quella esperienza mi diede la conferma che l’idea che stavo maturando da qualche anno poteva essere giusta: creare un luogo dove gli uomini si potessero prendere cura di sé stessi a 360 gradi. Un concetto del genere c’era già nei parrucchieri da donna: la cura dell’estetica del salone, la selezione di prodotti specializzati, la ricerca continua del benessere del cliente. Il mercato maschile era invece completamente scoperto. Nel momento in cui una persona entra nel mio salone l’obiettivo non è accorciargli i capelli o la barba ma farla stare bene. Questo concetto non esisteva proprio da queste parti, neanche nelle barberie storiche e sicuramente professionali, ma che erano rimaste legate esclusivamente alla tradizione.

Una volta aperto il salone come l’hai promosso?
L’innovazione che volevo portare nel settore non poteva prescindere da una diversa maniera di comunicare. Iniziando da una cosa semplice come avere un sito internet con un dominio dedicato. Quando ho provato a vedere quali domini fossero disponibili sono stata sorpresa di scoprire che thebarber.it fosse libero. Da quasi otto anni ormai The Barber è il mio marchio personale con cui comunico sui social network. Su YouTube ho aperto il canale “Beauty Routtini” in cui pubblico video sulla cura della bellezza maschile: dal come mantenere la barba pulita e ordinata alla cura della pelle, dei dreadlock, eccetera. Video tutorial per l’uomo contemporaneo. Sono stata anche uno dei primi barbieri in Puglia a offrire la possibilità di prenotare l’appuntamento online, sia sul sito che direttamente dalla pagina Facebook.

“Se sei brava la gente tenterà di giustificare il tuo successo basandosi sul fatto che sei bella. Non è così, perché le competenze non hanno genere e noi abbiamo la necessità di combattere questa cultura che ti vuole mamma e casalinga, come se il lavoro fosse un ostacolo alla famiglia”

Doriana Borgo

Innovare è una scelta che ha pagato?
Ci è voluto un po’. All’inizio non è stato facile. Ad esempio lavorare esclusivamente su prenotazione, come se fossimo in una cittá, rispettando gli orari e dicendo di no a chi si presentava senza appuntamento. Adesso vedo che il mio esempio è stato seguito da altri e questo non puó che essere positivo, perché quando le tue idee vengono riprese da altri significa che 63 funzionano. Se fai qualcosa e la fai bene alla fine i risultati arrivano, sempre. Quest’anno sono stata invitata al Teatro Nazionale di Milano per fare un intervento sul palco di 9 Muse, evento motivazionale dedicato all’intraprendenza e all’imprenditoria femminile. Come ha fatto l’organizzatrice a scoprirmi? Su Instagram.

Cosa significa nel 2019 essere imprenditrice al Sud?
Che devi avere le palle. Parlo dal mio punto di vista che è quello di chi lavora in un settore che in tutto il mondo è prettamente maschile. Significa scalpitare, sui tacchi, in un posto dove nessuno ti vuole. È la verità, semplicemente non ti vogliono. Se sei brava la gente tenterà di giustificare il tuo successo basandosi sul fatto che sei bella. Non è cosí, perché le competenze non hanno genere e noi abbiamo la necessità di combattere questa cultura che ti vuole mamma e casalinga, come se l’intraprendenza femminile fosse un ostacolo alla famiglia. In Italia la cultura non ci ha messo nelle stesse condizioni degli uomini, qui ci insegnano a fare la ragazza, ci insegnano che a un certo punto della vita devi volerti sposare. Io preferisco l’insegnamento di Lady Gaga: “Coltiva il tuo lavoro perché lui non si alzerà mai una mattina dicendo che non ti ama più”.

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