Editoriali

Aperture a singhiozzo dei negozi. Liberalizzazione non fa rima con destagionalizzazione

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Negozi di città turisticamente rilevanti chiusi a settembre, con i commercianti che si sottraggono al dovere di accoglienza. Un danno per la Puglia e per gli esercenti che investono per far crescere il territorio. Il ruolo di coordinamento e controllo al quale i Comuni non devono rinunciare, per rispetto di commercianti, turisti e residenti

Oronzo Martucci

La richiesta di molti operatori commerciali, titolari di licenze per attività di vendita o di somministrazione di cibo e bevande, di avere mano libera nell’organizzazione degli orari delle attività e senza obbligo di chiusura domenicale o infrasettimanale, è stata accolta da tempo, perché senza esercizi commerciali la desertificazione dei centri storici o di molti quartieri delle città è inarrestabile. Gli stessi operatori commerciali, non tutti per fortuna, però spesso pensano di utilizzare la liberalizzazione non per legittime esigenze di ampliamento temporale e qualificazione del servizio offerto, ma per una riorganizzazione selvaggia: nei giorni nei quali ci sono in giro molti clienti, aprono i battenti delle loro attività anche per 24 ore di seguito; quando ci sono pochi avventori, chiudono e addio servizio. La liberalizzazione così intesa non ha attinenza con l’esigenza di qualificare e caratterizzare i singoli territori, ma solo con lo sfruttamento massimo di una risorsa che comunque va regolamentata dai Comuni nel rispetto della libertà di impresa e allo stesso tempo dell’interesse pubblico.

A Ostuni, per esempio, alcune attività commerciali poste nell’area di piazza Libertà, a ridosso del centro storico, già all’inizio di settembre hanno cominciato a effettuare l’apertura a singhiozzo: nel fine settimana, con il bel tempo e a condizione che in giro ci siano migliaia di turisti.
Ostuni è solo un esempio, ma in molti comuni turisticamente rilevanti si è verificato lo stesso fenomeno. Il commerciante ragiona così: ho lavorato a luglio e agosto e guadagnato abbastanza per chiudere se voglio e quando voglio, tanto la liberalizzazione me lo permette. Liberalizzazione fa rima con destagionalizzazione? Non proprio. La destagionalizzazione turistica sta avendo successo, grazie ai voli low cost che anche a primavera e in autunno portano migliaia di turisti in Puglia nelle aree e nei Comuni turisticamente rilevanti della Valle d’Itria, del Salento, delle Gravine della provincia jonica, della Costa del trulli da Carovigno, passando per Ostuni, Fasano, Monopoli e Polignano a Mare, dell’area barese e del triangolo Barletta-Andria-Trani. Ma accade che mentre il periodo di presenza dei turisti si allunga, l’accoglienza viene meno in tutto o in parte anche in aree turisticamente rilevanti.

I negozi di souvenir e i bar e ristoranti aperti sono parte essenziale dell’accoglienza. Proprio ai commercianti sono delegati una parte consistente dell’accoglienza e il compito di far crescere la qualità e l’attrattività dei luoghi, in cambio dell’uso delle aree urbane e ambientali di pregio che vengono curate dalle amministrazioni pubbliche, con soldi pubblici. La chiusura a singhiozzo di alcuni vanifica il sacrificio di molti. Mette in discussione l’essenza e il valore della liberalizzazione.
I Comuni hanno compiti di vigi- lanza molto limitati sulle attività commerciali, per esempio per verificare che essi non pregiudichino la vivibilità dei luoghi con musica aggressiva e atti vandalici di clienti poco abituati all’alcol. Allo stesso tempo però mettono a disposizione dei commercianti aree di pregio per lo svolgimento delle loro attività, dietro pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico, e parcheggi per le autovetture di turisti e ospiti in genere. La superficie occupata è quasi sempre più ampia di quella contabilizzata ai fini della tassa. È necessario un minimo di tolleranza, come è necessario prevedere forme di incentivi per i titolari di attività commerciali che accettano di aprire al pubblico le loro attività il maggior numero possibile di giorni all’anno, per evitare l’effetto desertificazione. I cittadini residenti nelle città turisticamente rilevanti pagano un prezzo consistente in termini di disagi legati alla mancanza di parcheggi, schiamazzi notturni e atti vandalici. Poi, d’un tratto, al posto del caos arriva il silenzio che è accompagnato dalla mancanza di servizi. Proprio per definire un equilibrio tra gli interessi dei residenti e quelli degli imprenditori allo sviluppo delle loro attività, i Comuni devono trovare nelle leggi che regolano le attività commerciali il modo di intervenire. Il modo si trova, sempre. Perché solo da questo equilibrio potranno venire buoni risultati per residenti e commercianti. Ci sono operatori commerciali in tutte le aree della Puglia che non hanno bisogno dell’intervento del Comune per capire che a loro compete l’accoglienza e che l’apertura (anche se in giro ci sono pochi turisti) fa parte dei doveri morali, non scritti nelle leggi. Altri hanno bisogno che qualcuno ricordi loro i doveri morali e soprattutto quelli contenuti nelle leggi. Liberalizzazione non significa caos. I sindaci e le amministrazioni comunali a questo compito non devono sottrarsi, mai. Vi è qualche primo cittadino che rivolge inviti a un cambio di passo culturale che deve portare i commercianti a evitare le chiusure a singhiozzo. L’invito va bene, il coordinamento delle iniziative e il raccordo con il Comune nel ruolo di guida vanno meglio.

I turisti, soprattutto quelli con alta capacità di spesa e abituati a percorrere il territorio con l’obiettivo di scoprirlo, sanno riconoscere la qualità individuale e complessiva dei commercianti. Il loro giudizio è fondamentale per avere continuità e crescita nel settore. Ecco perché l’economia turistica non può essere lasciata al caso, nelle mani di commercianti improvvisati e arraffoni. Ne va della ricchezza dell’intero territorio. Anche se la liberalizzazione è una scelta necessaria (e allo stesso tempo pericolosa) che la Puglia ha compiuto ancor prima che fosse decisa a livello nazionale.
Nell’aprile del 2008 fu approvata dal Consiglio regionale una legge che permetteva ai commercianti dei Comuni a economia turistica e nelle città d’arte di determinare liberamente gli orari di chiusura e apertura e di venir meno all’obbligo della chiusura domenicale e festiva nel periodo compreso tra maggio e settembre. I commercianti delle aree turistiche da molti anni prima avevano evidenziato attraverso le associazioni di categoria l’esigenza di evitare i turni di chiusura. I turisti che arrivano nelle città non hanno certo in mano il calendario delle chiusure infrasettimanali, bisogna accoglierli sempre, si diceva. Allo stesso tempo non possono rischiare di trovare a settembre una città turistica deserta, perché i commercianti hanno valutato di aver guadagnato abbastanza nei mesi precedenti di apertura. Sfruttando le loro qualità imprenditoriali e, soprattutto, risorse e beni pubblici come i centri storici e le aree di pregio.
Dando seguito alla normativa europea, a fine 2011 è entrata in vigore la piena liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi definita attraverso il decreto “Salva Italia” che recepiva la necessità di tutela e promozione della concorrenza e stabiliva la libertà dell’imprenditore di gestire al meglio la propria rete commerciale. Una norma di buon senso, se il commerciante ha buon senso. Nell’agosto 2018 è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia una legge regionale denominata “Codice del Commercio” . In essa si evidenzia che in accordo con le associazioni e organizzazioni di categoria spetta al Comune definire anche attraverso provvedimenti organici: le modalità per garantire il servizio minimo in caso di più festività consecutive e di periodi di ferie, con particolare riferimento ai punti vendita alimentari, ai pubblici esercizi, agli impianti di distribuzione di carburanti e alle rivendite di giornali e riviste.
Nella legge regionale si evidenzia ancora che gli esercenti devono rendere noto al pubblico, anche durante il periodo di chiusura, l’orario di effettiva apertura o chiusura mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione. Si evidenziano tante altre cose.

Da questa norma arriva la conferma che comunque il Comune ha poteri di controllo ai quali non può e non deve abdicare. Non per imporre norme e regole che non hanno motivo di esistere, ma per ricordare a chi vende ai turisti non solo la propria professionalità ma soprattutto la bellezza del territorio che qualche dovere verso il pubblico ce l’ha. Al di là della liberalizzazione.

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